La Cina perde colpi ed è una brutta notizia per l’Europa da tempo alla ricerca di segnali positivi che alimentino le speranze di ripresa della crescita economica. L’indice Caixin che misura l’andamento dell’attività manifatturiera cinese è calato in luglio al livello più basso degli ultimi sei mesi, per effetto soprattutto della diminuzione degli ordini e delle vendite all’estero.

Questo significa che l’economia del Vecchio continente e soprattutto quella tedesca, la più legata a Pechino, dovranno scontare ancora la debolezza del Dragone. Del resto, proprio ieri è arrivata un’ulteriore conferma che i paesi dell’Eurozona continuano a viaggiare con il motore imballato. Il dato della manifattura, misurato dall’indicatore Hcob Pmi flash, è infatti piombato in luglio ai minimi da 38 mesi: 42,7 punti contro i 43,7 di giugno.

Va detto che in questo contesto, l’Italia sembra muoversi controcorrente. In giugno, secondo quanto ha comunicato ieri l’Istat, il tasso di disoccupazione è lievemente calato (7,4 per cento dal 7,6 di maggio), mentre l’indice del settore manifatturiero ha fatto segnare il mese scorso una modesta risalita da 43,8 a 44,5 punti, rimanendo comunque distante dalla soglia dei 50 punti che segna il passaggio in una fase di espansione. Troppo poco, quindi, per fare il pieno di ottimismo.

Al contrario, la raffica di notizie negative apparse nella mattinata di ieri sugli schermi di analisti e investitori ha finito per pesare anche sulle Borse, che infatti hanno invertito la rotta dopo settimane all’insegna del rialzo.

Nessun tonfo pesante – Milano, per dire è andata in rosso solo dello 0,9 per cento – ma la retromarcia dei listini potrebbe segnalare che anche i mercati azionari stanno perdendo fiducia in un atterraggio morbido dell’economia, su cui pesa la stretta monetaria della Bce. Sul mercato regna infatti la massima incertezza sulle prossime mosse dell’istituto di Francoforte.

Le mosse della Bce

Pochi giorni fa, la presidente Christine Lagarde ha lasciato intendere che a settembre la Banca centrale potrebbe interrompere la serie di nove rialzi consecutivi dei tassi inaugurata nel luglio 2022. I dati sull’inflazione restano però tutt’altro che rassicuranti.

La crescita dei prezzi sta rallentando, ma non abbastanza, secondo molti analisti, per permettere di abbassare la guardia sul fronte dei tassi. L’inflazione cosiddetta core, cioè al netto dei prezzi più volatili, quelli dell’energia e dei prodotti alimentari, sta infatti calando con grande lentezza nell’Eurozona: in luglio è scesa solo al 6,6 per cento contro il 6,8 per cento di giugno.

E anche l’indice generale si è fermato il mese scorso al 5,3 per cento, in lieve calo dal 5,5 per cento di trenta giorni prima. Sono numeri molto lontani dal 2 per cento annuo che è l’obiettivo di inflazione a cui punta la Bce. E infatti, a questo punto, sembra riprendere quota l’ipotesi che a settembre Francoforte possa dare un nuovo giro di vite alla politica monetaria.

Stretta tra l’inflazione che non cala, la Cina in difficoltà e la domanda interna che non aiuta, l’Europa naviga a vista in un mare di incognite. Il dato di lunedì, che dava il Pil dell’Eurozona aggrappato a un incoraggiante +0,3 per cento nel secondo trimestre dell’anno, non basta certo a dare nuovo slancio alla crescita.

Anche perché la mini-rimonta dopo i primi tre mesi chiusi in stallo è stata più che altro determinata dalla spinta di Francia, Irlanda e Lituania, determinata in tutti e tre i paesi da eventi non ricorrenti. Senza queste performance difficilmente ripetibili la crescita nei paesi dell’area euro non avrebbe probabilmente superato lo 0,1 per cento.

Il treno è quasi fermo, quindi, ma l’Italia è comunque costretta a inseguire. Il calo del Pil dello 0,3 per cento registrato nel secondo trimestre dà il colpo di grazia alla propaganda di governo sull’Italia descritta come una sorta di nuova locomotiva dell’economia europea.

Allo stesso tempo, guardando al futuro prossimo, sembra allontanarsi l’obiettivo del Mef, che per quest’anno puntava a una crescita dell’un per cento.

Un salvagente per i tre mesi estivi potrebbe arrivare dal turismo, ma con l’inflazione che pesa sempre di più sul potere d’acquisto degli italiani pare tutt’altro che scontato che i consumi riprendano quota. E allora, con il Pil ancora vicino a quota zero anche nell’ultimo semestre del 2023, diventerebbe molto difficile per il governo far quadrare i conti del bilancio pubblico, in vista della prossima manovra economica da mettere a punto in autunno.

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