Dice il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che «nessun paese è in una posizione migliore dell’America per ridurre l'inflazione, senza rinunciare a tutti i guadagni economici che abbiamo ottenuto negli ultimi 18 mesi». I dati sul lavoro brillano, ma quelli sull’inflazione stanno facendo precipitare la sua immagine nei sondaggi.

Come parlare di inflazione

Biden non ha affatto brillato nella comunicazione sul tema. Per diverso tempo ha ridimensionato, collegato il problema soprattutto alla guerra in Ucraina, che impatta molto di più sull’Europa che sugli Stati Uniti, quasi a voler cercare un capro espiatorio per un fenomeno contro cui la stessa Federal Reserve fatica a trovare ricette. Più volte il presidente ha collegato il tema dell’inflazione alla responsabilità delle imprese, prima sostenendo che la tassa sui miliardari annunciata appena arrivato alla Casa Bianca era una risposta al problema, poi chiedendo alle pompe di benzina di abbassare prezzi che considerava speculativi. A rispondergli, ormai da mesi, il presidente trova il multimiliardario Jeff Bezos, fondatore di Amazon, patrimonio da 171 miliardi di dollari e una aliquota media da pagare al fisco americano di appena il 21 per cento tra 2006 e 2018. Bezos lo ha inchiodato pubblicamente sui suoi passi falsi a livello di comunicazione.

Lo staff della Casa Bianca già due volte ha risposto piccata al secondo uomo più ricco del mondo con comunicati inusuali che accusavano Bezos di ritorsioni per l’incontro di Biden con i primi sindacati nati all’interno di Amazon e per le sue idee sulla tassazione. «Non è necessario un enorme salto per capire perché uno degli individui più ricchi della Terra si opponga a un’agenda economica per la classe media che taglia alcuni dei maggiori costi che le famiglie devono affrontare e combatte l’inflazione a lungo termine», recitava la nota diramata a maggio dal portavoce della Casa Bianca Andrew Bates.

Il copione si è ripresentato uguale all’inizio di questa settimana quando Bezos ha commentato l’appello di Biden ai benzinai per abbassare i prezzi dicendo che o la Casa Bianca stava cercando un diversivo o eravamo di fronte a una profonda incomprensione delle dinamiche di mercato. Di nuovo la Casa Bianca con la portavoce Karine Jean Pierre ha risposto frontalmente anche se non proprio nel merito: «Il prezzo del petrolio è diminuito di circa 15 dollari nell’ultimo mese, ma i prezzi alla pompa sono a malapena scesi. Ma credo che non sia sorprendente che tu pensi che il fatto che le compagnie petrolifere e del gas usano il potere di mercato per raccogliere profitti record alle spese del popolo americano sia il modo in cui funziona la nostra economia».

Economisti in bilico

Potere di mercato, tassazione, inflazione, si mescolano, al punto che nemmeno gli economisti vicini al Partito democratico si schierano completamente con la Casa Bianca, ma comunque non assolvono Bezos. La pop star dell’economia Paul Krugman è intervenuto dicendo che il rialzo dei prezzi delle imprese contribuisce parzialmente all’inflazione ma non è il fattore preponderante. Larry Summers, l’ex segretario di stato all’Economia dell’amministrazione Clinton, che di recente ha difeso il potere di mercato delle grandi corporation, ha invece dichiarato che ha ragione Biden quando dice che la tassazione maggiore sui redditi alti potrebbe contribuire a ridurre la domanda e quindi a placare l’inflazione.

Distorsioni antiche

La verità è che Biden è arrivato alla Casa Bianca con un’agenda economica molto ambiziosa che puntava a riparare alcune delle distorsioni più evidenti del sistema statunitense, a partire dal sistema fiscale per finire con il potere di mercato, a livelli mai registrati prima, dei grandi gruppi industriali.

Bezos, per esempio, si era detto favorevole a una tassazione maggiore delle imprese, salvo poi non rispondere ai cronisti di ProPublica che gli avevano chiesto conto delle imposte così esigue pagate negli ultimi quindici anni. Amazon, che a febbraio ha annunciato un aumento dei prezzi del servizio Prime motivandolo con un aumento dell’offerta, può sicuramente sfruttare il suo enorme potere di mercato. Ma non si tratta solo di Amazon, i dati raccolti dagli economisti come Jan De Loecker, Jan Eekhout, Gabriel Unger dimostrano che il potere delle grandi firme sta continuando ad aumentare con implicazioni macroeconomiche che includono anche la depressione dei salari, in questo momento colpiti dall’inflazione. In Europa la dinamica è mitigata dagli interventi fiscali, negli Stati Uniti no. Per questo una svolta nelle politiche antitrust a Washington è fondamentale.

Lo stallo politico che intrappola Biden al Congresso, però, indica che alcuni traguardi non saranno mai centrati e il tentativo di incrociare questi problemi strutturali con l’attuale inflazione non aiuta il presidente. Gli americani non credono che Biden sia in grado di contenere il mostro che sta riducendo i salari e nonostante gli attacchi di una Corte suprema estremista sui diritti civili e le posizioni sempre più eversive di parte del partito repubblicano – la sua più grande componente in Texas, per dire, non riconosce la legittimità del presidente in carica – è sull’economia che i democratici saranno valutati col voto di metà mandato a novembre.

© Riproduzione riservata