L’Italia è uno dei migliori posti al mondo dove morire. Se si è ricchi, ovviamente. Perché il trasferimento dei beni dal defunto agli eredi è trattato dal fisco italiano con particolare delicatezza.

L’ultimo, clamoroso esempio lo ha fornito la successione di Silvio Berlusconi: sul passaggio del controllo della Fininvest, una holding che vale più di tre miliardi di euro, i suoi figli non pagheranno un solo euro di imposte.

«Nel 2006 l’Italia ha introdotto l’esenzione totale dell’imposta di successione e sulle donazioni nei casi di trasferimenti di aziende o di partecipazioni societarie dai genitori ai discendenti diretti e ai coniugi» spiega Stefano Loconte, avvocato, fondatore dell’omonimo studio di Milano e professore di diritto tributario all’università Lum di Bari. «Con due limiti però: in caso di società di capitali deve essere trasferita la maggioranza del capitale sociale o una quota che ne integra la maggioranza, aggiungendosi alle azioni o quote già possedute dall’erede. E chi riceve l’azienda o le partecipazioni di maggioranza deve mantenerle per almeno cinque anni».

Le raccomandazioni Ue

La scelta dell’Italia non è una stranezza: il nostro paese si è adeguato alla raccomandazione della Commissione europea che invita i paesi membri dell’Unione ad agevolare il passaggio di proprietà delle aziende dai genitori ai figli, in modo da salvaguardare il tessuto imprenditoriale del continente.

Ma Roma è stata particolarmente generosa. Tanto che, come ricorda Loconte, «nel 2020 la Corte costituzionale ha segnalato al legislatore che l’esenzione totale sui trasferimenti delle società agli eredi era un po’ troppo ampia. Mentre nel 2022 la Cassazione, allineandosi all’interpretazione dell’Agenzia delle entrate, ha stabilito che la norma non dovrebbe valere per le holding passive, che si limitano ad incassare dividendi e non hanno un’attività di impresa». E potrebbe essere proprio il caso di Fininvest, secondo alcune interpretazioni.

Interesse culturale

Ma a rendere l’Italia quasi un paradiso fiscale per chi eredita un patrimonio sono altre due particolari esenzioni: non si paga un euro di imposta di successione sui titoli di stato (italiani ed europei) e assimilati (quelli emessi da istituzioni sovranazionali come la Bei); e nulla è dovuto nel caso di trasferimento di beni di interesse culturale, cioè su opere d’arte o immobili che la soprintendenza ha riconosciuto tali.

Il risultato è che, per fare un esempio, la moglie e i figli di un imprenditore titolare di un’azienda del valore di 200 milioni, di un immobile di pregio qualificato di interesse culturale di 50 milioni e di titoli di Stato per 100 milioni, non sarebbero tenuti a versare nulla al fisco.

E comunque, uscendo da questi casi particolari di esenzione, resta il fatto che le imposte di successione in Italia sono estremamente basse: il 4 per cento sui parenti in linea retta e sui coniugi, ma solo sulla quota di patrimonio superiore al milione di euro per ognuno di essi; il 6 per cento sugli altri parenti fino al quarto grado, con fratelli e sorelle che godono di una franchigia di 100mila euro per ognuno di essi; e infine l’8 per cento su tutti gli altri.

Non solo, c’è anche il vantaggio che gli immobili ereditati vengono valutati in base al valore catastale, più basso rispetto a quello reale. Insomma, un bengodi per le famiglie benestanti.

I dati raccolti dall’Ocse in un rapporto dedicato alla tassazione di successione nei paesi aderenti all’organizzazione rivela che, tra le nazioni più avanzate, l’Italia è quella con le imposte più basse e con la quota esente più alta: in Francia i figli pagano dal 20 al 50 per cento sul patrimonio ereditato mentre i parenti non stretti versano il 60 per cento; in Germania le aliquote salgono fino al 50 per cento; in Spagna oltre il 30 per cento. In molte nazioni però il coniuge è esentato dal pagare l’imposta di successione.

E dei 36 paesi aderenti all’Ocse ce ne sono 12 che non hanno questo tipo di tassazione: Austria, Repubblica Ceca, Norvegia, Repubblica Slovacca e Svezia hanno abolito le imposte sulle successioni dal 2000. Israele e Nuova Zelanda le hanno cancellate tra il 1980 e il 2000, Australia, Canada e Messico prima del 1980, mentre Estonia e Lettonia non hanno mai introdotto imposte di successione o eredità.

«Migliorare l’equità»

Pur sottolineando che «le imposte di successione ben concepite possono aumentare le entrate e migliorare l’equità, con un’efficienza e costi amministrativi inferiori rispetto ad altre alternative» e che «dal punto di vista dell'equità, una tassa di successione, in particolare se mirata a livelli relativamente elevati di trasferimenti di ricchezza, può essere uno strumento importante per migliorare l'uguaglianza di opportunità e ridurre la concentrazione di ricchezza», il rapporto riconosce che nell’Ocse «numerose disposizioni hanno ristretto le basi imponibili delle imposte di successione, riducendo il gettito potenziale, l’efficienza e l’equità.

Oggi, in media, solo lo 0,5 per cento del gettito fiscale totale proviene da queste imposte nei paesi Ocse che le applicano». Il gettito delle imposte di successione, eredità e donazione supera l'1 per cento del totale delle imposte solo in Belgio, Francia, Giappone e Corea. Mentre in Italia viaggia poco sopra lo zero. Una armonizzazione europea sarebbe opportuna.

Il nostro paese è una destinazione interessante anche per gli stranieri: la legge che ha introdotto l’imposta sostitutiva da 100mila euro sui redditi di fonte estera incassati da chi trasferisce la residenza in Italia (purché non l’abbia avuta negli ultimi nove anni su dieci) prevede anche l’esenzione totale dell’imposta di successione.

Sarebbero già 2.700 i ricchi che si sono trasferiti in Italia per approfittare di questa norma. E sono ancora di più, oltre 50mila, i rimpatriati che sfruttano un’altra facilitazione: lo sconto del 70 per cento sulle imposte sul reddito per chi torna nel nostro paese dopo due anni di assenza, agevolazione che sale al 90 per cento se ci si trasferisce in un comune del sud. Un’offerta tanto succulenta da aver convinto alcuni a emigrare per un paio di anni per poi tornare nell’italian paradise.

© Riproduzione riservata