Poco dopo l’insediamento del governo Draghi, il primo nella storia della Repubblica che le ha incluse nelle consultazioni ufficiali nella storia della Repubblica, le associazioni ambientaliste, da Legambiente a Greenpeace, hanno chiesto di aggiornare «urgentissimamente» il piano nazionale per il clima e l’energia, cioè il programma con cui l’Italia spiega i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni. Approvato nel gennaio del 2020, il piano integrato energia e clima italiano (Pniec) è, infatti, rimasto indietro rispetto alle scelte della Commissione europea che nel frattempo ha portato dal 40 al 55 per cento l’obiettivo di riduzione delle emissioni di anidride carbonica al 2030. L’urgenza di aggiornarlo era dovuta anche alla necessità di renderlo coerente con il piano di ripresa e resilienza che destina il 37 per cento dei fondi alla transizione ecologica e che quindi dovrebbe essere una parte consistente di quella strategia.

Eppure ieri, dopo tre ore di confronto di fronte a quattro commissioni parlamentari, cento tra deputati e senatori protagonisti di più di trenta interventi e molte più domande, il neo ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani ha spiegato che non faremo in tempo ad aggiornare gli obiettivi del piano clima ed energia visto che già si deve correre per presentare il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) entro la scadenza del trenta aprile.

L’impegno a farlo in fretta c’è, ha spiegato Cingolani, anche perché non potrebbe essere altrimenti. Già a metà gennaio il senato ha approvato una risoluzione in cui si chiedeva di aggiornare i nostri impegni agli obiettivi europei. Il testo approvato dai senatori chiedeva anche di prevedere incentivi per le aziende pronte a ridurre almeno del 30 per cento – «e comunque di una quota non inferiore che sia proporzionale al raggiungimento del nuovo obiettivo di riduzione fissato dall’Europa» - le proprie emissioni prima di passare a misure compensative e in generale di diminuire «il ruolo del gas nella produzione di energia, «aumentando al contempo la capacità degli accumuli e favorendo la penetrazione massiccia delle fonti rinnovabili, anche attraverso l’autoproduzione e le comunità energetiche».

Le stime a confronto

Ieri Cingolani ha confermato obiettivi ambiziosi. Ha chiarito per esempio, che per la produzione e il consumo di elettricità, fonte del 26 per cento delle emissioni totali nazionali, è previsto un abbattimento delle emissioni del settantadue per cento per il 2030, una stima in linea con i calcoli fatti sia dalle organizzazioni ambientaliste che dalla principale associazione delle imprese elettriche di Confindustria, Elettricità futura, per permetterci di rispettare i parametri europei. Tuttavia, sul come farlo, Cingolani è stato molto più sibillino. Per esempio per arrivare a quegli obiettivi sull’elettrico ha detto che potremmo mantenere la quota di produzione basata sul gas sotto a un terzo del totale, circa al 25 per cento, quasi cancellando quella basata sul carbone e aumentando quella delle rinnovabili. Cingolani ha fatto capire anche che la strategia potrebbe cambiare, anzi l’ha proprio chiamata «strategia dinamica»: «Sappiamo quale strada dobbiamo fare, dobbiamo partire da A e arrivare a B, più difficile è dire con quale pendenza raggiungere la meta», ha detto.

La ricerca sulla fusione

L'ex direttore dell’istituto italiano di tecnologia, poi promosso a capo innovazione di Leonardo, la maggiore industria della difesa italiana da cui è in aspettativa, sembra avere una idea molto chiara su dove saremo o meglio, dove, dovremo essere tra dieci anni: allora, secondo lo scienziato, ci sarà la competizione su come abbassare il costo dell’idrogeno verde, allora diventato più economico, avremo superato le batterie e invece l’energia pulita verrà dalla fusione nucleare, quella delle stelle, tanto che la ricerca sta già andando in quella direzione. Da una parte Cingolani dice di prepararci a quel momento, dall’altra però non sappiamo ancora bene con che progetti per gli obiettivi di riduzione al 2030. Quelli del piano di ripresa dovrebbero rifarsi al piano energia clima che però non è aggiornato e «nella foga di queste settimane probabilmente non riusciremo ad allineare tutto».

Transizione burocratica

La domande sulla nostra strategia restano per ora inevase, come quelle collegate alla strategia dei grandi campioni nazionali. Per aumentare la capacità della rete elettrica, solo per fare un esempio, servono investimenti di Terna, che ha come primo azionista la Cassa depositi e prestiti, attraverso Cdp Reti e nuovi obiettivi industriali.

Anche sui sussidi ambientalmente dannosi, il ministro non ha nessuna intenzione di accelerare di fronte a una crisi economica che ha messo in crisi più di altri il settore dei trasporti. Sulle plastiche ( e sulla proposta della plastic tax) attende di studiare la produzione italiana. Per il resto i lavori di analisi sui singoli progetti del Recovery partiranno solo la settimana prossima. E intanto l’urgenza è quella che il fisico ha chiamato la «transizione burocratica»: bisogna prima di tutto semplificare le procedure.

Quelle per la valutazione di impatto ambientale, con cui sarà aperto dalla settimana prossima un tavolo anche con il ministero dei trasporti e quello della Cultura, quindi con Enrico Giovannini e Dario Franceschini. Ma soprattutto tutto quelle per le aste del fotovoltaico, andate quasi deserte rispetto ad altri paesi europei e ancora le procedure per il bonus edilizia al centodieci per cento che verrà sicuramente prorogato.

Il ministro ha invitato il parlamento a farsi avanti con le idee di semplificazione: »Abbiamo necessità di metterle nel Recovery», ha spiegato. Il piano clima a cui il Recovery fa riferimento può aspettare.

 

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