Basterebbe una cifra per dare un’idea della macchina da soldi targata Chiara Ferragni, la macchina che adesso rischia di sbandare per effetto del pandoro-gate, con tanto di inchiesta penale che ora vede tra gli indagati anche la super influencer. L’anno scorso, Ferragni e il marito Federico Leonardo Lucia, in arte Fedez, hanno speso quasi 18 milioni di euro per comprare la loro nuova residenza milanese e una villa per le vacanze sul lago di Como.

L’appartamento su tre piani nella torre Libeskind di Citylife a Milano, set di innumerevoli video virali della famigliola, è costato 9,7 milioni, circa 10,8 milioni Iva inclusa. La casa (con parco e piscina) che fronteggia il buen retiro di George Clooney sul Lario è stata invece acquistata per 7 milioni di euro. Proprietà separate: la prima è intestata a una società di Chiara, l’altra invece fa capo alla famiglia del marito Fedez.

Il mattone è di certo un ottimo investimento per valorizzare il fiume di denaro che negli ultimi anni ha gonfiato i conti bancari delle aziende in qualche modo legate alla coppia più famosa del web. Il problema, per loro, è che adesso rischia di esplodere la bolla mediatica che li ha portati al successo, con effetti potenzialmente devastanti per il business di famiglia. E non è una questione di follower persi sui social, che pure segnalano in tempo reale gli effetti dei guai della bionda influencer. Il problema riguarda le aziende controllate dall’imprenditrice del web, cresciute a gran velocità negli anni scorsi.

Vendita a rischio

Il centro di tutto è il marchio Chiara Ferragni, declinato mediante accordi di licenza nei più diversi segmenti della moda, dalle calzature all’intimo, all’abbigliamento per bambini, fino ai profumi e ai gioielli. In mancanza di un bilancio consolidato che dia conto delle varie attività del gruppo non è facile stimare con precisione il valore delle aziende che fanno capo all’influencer.

Pochi mesi fa, però, la società Fenice, che gestisce il brand Ferragni, è stata valutata 75 milioni di euro. È questa la cifra indicata nel comunicato stampa della holding Alchimia, quando nel giugno scorso ha annunciato la vendita ai fondi di Avm gestioni di una quota della stessa Fenice. L’operazione, definita all’epoca “exit parziale” riguardava poco più della metà del 40 per cento intestato ad Alchimia, guidata dall’imprenditore romano Paolo Barletta.

Non è un caso, allora, che nei giorni scorsi abbiano preso a circolare con insistenza voci di una possibile revisione dei termini finanziari di un’operazione che nel giugno scorso era stata data per conclusa. Il motivo è semplice: la bufera, anche giudiziaria, di questi giorni danneggia l’immagine e la reputazione dell’influencer, gli asset principali su cui si regge il suo impero economico. Grandi gruppi quotati in Borsa come Coca Cola non possono permettersi di associare i loro prodotti a testimonial screditati.

Royalties milionarie

Ecco perché il gruppo della celebre bevanda Usa ha annunciato che per il momento non utilizzerà i video pubblicitari girati nelle settimane scorse con Ferragni protagonista. Le credenziali etiche delle imprese vengono valutati dagli investitori, a cominciare dai grandi fondi internazionali, anche in base ai cosiddetti criteri ESG (environmental, social, governance) che prendono in considerazione anche trasparenza e legalità delle attività aziendali.

Negli anni scorsi Fenice ha incassato royalties milionarie grazie agli accordi di licenza per il marchio Chiara Ferragni siglati anche con altre aziende di moda quotate in Borsa: nel 2020 con Aeffe (intimo e costumi da bagno) e Monnalisa (abbigliamento bimbo), nel 2021 con Safilo (occhiali). Quest’ultima si è sfilata nei giorni scorsi, le altre due starebbero valutando il da farsi. In casi come questi possono essere fatte valere specifiche clausole contrattuali che vincolano l’intesa alla “buona condotta” dei contraenti. In altre parole, si mette in moto un meccanismo simile a quello che porta alla rottura di contratti pubblicitari tra grandi marchi e atleti o uomini di spettacolo che per un qualunque motivo cadono in disgrazia nell’opinione pubblica.

Fiume di denaro

In questo caso a farne le spese sarebbe in primo luogo Fenice, una delle due colonne su cui si regge il business targato Ferragni. Nel 2022, anno dell’ultimo bilancio disponibile, i profitti di questa società sono quasi raddoppiati da 1,9 a 3,4 milioni su ricavi che hanno preso il volo da 6,4 a 14,2 milioni.

L’altra macchina da soldi del gruppo è TBS Crew, a cui fa capo la gestione del blog e l’e-commerce col marchio The Blonde Salad. Anche qui i conti del 2022 vedono il giro d’affari in grande crescita da 7,1 a 14,6 milioni, mentre i profitti hanno toccato i 5,1 milioni contro 1,7 milioni del 2021.

Forte di bilanci che grondano liquidità l’influencer si era messa alla ricerca di investitori che la affiancassero nelle società di famiglia. Non è chiaro come andrà a finire l’operazione già annunciata con Avm gestioni, ma di certo per l’immediato futuro Ferragni e i suoi consulenti dovranno dedicarsi ad altro.

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