Dopo giorni di fiammate al rialzo ieri lo spread è tornato a perdere quota allontanandosi dalla soglia dei 200 punti pericolosamente varcata giovedì scorso, subito dopo l’approvazione della Nadef.

A dare fuoco alle polveri di un’inutile polemica contro fantomatici speculatori, è stata però Giorgia Meloni che se l’è presa con l’opposizione e con alcuni giornali che secondo la premier enfatizzano i movimenti dei mercati per indebolire l’esecutivo. «Soliti noti vorrebbero un governo tecnico», ha detto Meloni da Malta. «Già si fanno i nomi dei ministri, mi fa sorridere – ha aggiunto -. Temo che questa speranza non si tradurrà in realtà». Alla premier si è aggiunto il coro delle voci nere di Fratelli d’Italia, tutte concordi su un punto: «I numeri del governo Meloni sono migliori rispetto a quelli del precedente esecutivo», quello tecnico di Draghi, ha detto il presidente dei senatori di Fdi, Lucio Malan, e quindi, è la conclusione, non c’è nulla di cui preoccuparsi.

Effetto spread

Meloni non ha mancato di ricordare che durante il governo Draghi lo spread è arrivato anche a quota 250, ma «i titoli dei giornali non li ho visti», ha detto. Osservazione corretta, se non fosse che fino a metà dell’anno scorso, con Mario Draghi alla guida dell’esecutivo, i tassi d’interesse oscillavano intorno a quota zero.

All’epoca, infatti, il rendimento del Btp decennale si è mosso tra 0,5 e 1 per cento, mentre nei giorni scorsi è arrivato al 4,9 per cento. Tassi così alti hanno un impatto pesante sulla spesa del Tesoro per pagare gli interessi sui titoli di stato, come pochi giorni fa ha ricordato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, il quale ha confessato di temere di più il giudizio dei mercati rispetto a quello di Bruxelles. Vien da pensare, quindi, che secondo il Meloni pensiero, anche Giorgetti sarebbe sospettabile di remare contro l’interesse nazionale, forse preparandosi a un nuovo governo di tecnici.

I prezzi che non calano

L’evocazione del complotto è utile come arma di distrazione di massa, ma può far poco per contrastare i problemi reali, primo tra tutto quello dei prezzi. Il treno dell’inflazione, infatti, rallenta in Europa, ma molto meno in Italia che viaggia nei vagoni di coda. I dati resi noti ieri da Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea, confermano che il costo della vita ha rallentato la sua crescita nei paesi dell’area dell’euro.

A settembre l’indice armonizzato dei prezzi (Hicp) su base annuale è segnalato al 4,3 per cento, in calo rispetto al 5,2 per cento di agosto. Il dato medio però rispecchia fino a un certo punto la situazione dei singoli stati. E così, mentre la Germania scende al 4,3 per cento dal 6,4 del mese scorso e la Francia si stabilizza al 5,6 per cento dal 5,7 precedente, l’economia italiana deve fare i conti con un’inflazione ancora in rialzo, anche se di poco: siamo passati dal 5,5 per cento di agosto al 5,7 di settembre.

Il dato dell’Istat, anche questo reso noto ieri, è un po’ migliore rispetto a quello di Eurostat, perché l’indice scende al 5,3 per cento dal 5,4 di agosto. In sostanza però cambia poco. Nel nostro paese la battaglia contro il carovita è tutt’altro che terminata, anche se siamo lontani dai valori dell’autunno dell’anno scorso, quando il dato mensile arrivò a sfiorare il 12 per cento. Se poi si passa a esaminare il cosiddetto carrello della spesa, che comprende gli alimentari e i beni per la cura della casa e della persona, si scopre che l’indice ha messo la retromarcia, ma si muove ancora a una velocità inferiore alle attese. Per la precisione si scende dal 9,4 per cento di agosto all’8,3 per cento di questo mese, numeri che spiegano per quale motivo il raffreddamento dei prezzi si è fatto finora sentire ben poco nella spesa di tutti i giorni.

Problema benzina

La notizia più preoccupante arriva però dal fronte dell’energia. La spirale al rialzo di benzina e gasolio ha trainato l’indice dei beni energetici non regolamentati che in Italia è tornato a crescere al 7,6 per cento di settembre contro il 5,7 per cento del mese scorso. Va detto che dopo quasi tre mesi di aumenti, i prezzi dei carburanti si sono stabilizzati in questi ultimi giorni.

Le prospettive, però, sono più che mai incerte, perché le quotazioni del greggio restano ai massimi dell’anno, poco sotto la soglia dei 100 dollari al barile. Nel frattempo, anche luce e gas hanno invertito la marcia.

La spinta al ribasso che durava da mesi sembra essersi esaurita e nelle Borse merci internazionali il prezzo del metano è tornato a crescere, anche se resta molto distante dai record del 2022. Questi movimenti hanno però già avuto un primo impatto sul mercato nostrano. E infatti, giovedì scorso, l’Arera, l’Authority dell’energia, ha deciso un aumento del 18,6 per cento delle tariffe dell’elettricità per le famiglie del cosiddetto mercato tutelato ed entro pochi giorni dovrebbe arrivare un provvedimento analogo anche per il gas.

Pare inevitabile, quindi, che nell’ultimo scorcio di quest’anno il peso delle bollette tornerà farsi sentire sull’andamento complessivo dell’inflazione.

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