L’Antritrust ha imposto a Meta di riprendere i negoziati con Siae e di ripristinare i contenuti che sono stati rimossi con decisione unilaterale da parte della società americana, dopo che Siae si era rifiutata di accettare il modello globale di pagamento dei diritti per l’utilizzo di contenuti su Instagram e Facebook e soprattutto di fornire a Siae tutte le informazioni necessarie per calcolare quanto possano pesare i contenuti che gestisce dal punto di vista economico.

Il provvedimento dell’Antitrust va letto per intero. Primo, perché dimostra ancora una volta il rifiuto da parte di Meta di fornire informazioni trasparenti sul proprio business. Per tutta la negoziazione, interrotta lo scorso marzo, Siae è costretta a utilizzare per i propri calcoli tramite modelli basati su stime prudenziali, favorevoli a Meta e non forniti da Meta.

Secondo, buona notizia, perché dimostra che le nuove leggi europee sull’economia digitale hanno effetti molto concreti: si basa infatti, sulla direttiva Copyright e sul Digital Market Act e anche sulla nuova formulazione di condizione di «dipendenza economica» per l’economia digitale introdotta con la legge sulla concorrenza del 2021, licenziata sotto il governo Draghi. La nuova dicitura, infatti, ha specificato che la dipendenza economica va «presunta» nel caso dei servizi di intermediazione delle piattaforme digitali «che hanno un ruolo rilevante per raggiungere utenti finali e fornitori».

Per mesi Siae e Meta hanno cercato un accordo per rinnovare la licenza di utilizzo da parte di Facebook e Instagram dei contenuti protetti dai diritti d’autore gestiti da Siae. Il problema è che erano d’accordo sul modello di remunerazione dei brani musicali utilizzati nei video superiori ai 60 secondi e in disaccordo su quello da prevedere per i video più brevi.

Su questi ultimi Meta proponeva infatti una flat fee, cioè un compenso fisso, teoricamente vietato dalla direttiva Copyright. Peccato che i video brevi risultino sempre più importanti nel modello di business della piattaforma.

Il peso economico dei Reels

Nell’ultima presentazione dei risultati del terzo trimestre 2022 è la stessa Meta a dichiarare che in quel periodo gli «Instagram Reels hanno superato la soglia di un miliardo di dollari di ricavi annui», che la capacità di monetizzare i video brevi è in crescita sia su Instagram che su Facebook e che le due piattaforme insieme solo dai video dei Reels o delle Stories ricavano tre miliardi di dollari.

Di nuovo è sempre Meta a spiegare che in generale i video brevi rappresentano il 50 per cento di tutto ciò che viene visualizzato dagli utenti sulle app, che solo negli ultimi sei mesi la quota delle loro condivisioni è più che raddoppiata, e ancora che i video brevi sono la migliore strada per i “creators” di venire scoperti, connettersi con il loro pubblico e guadagnare.

E se sono la strada migliore per guadagnare per gli artisti, lo sono anche per la piattaforma che quegli artisti utilizzano. Eppure nella negoziazione con Siae, come dimostrano le mail riportate dall’istruttoria antitrust, Meta ha sostenuto che le due diverse proposte di remunerazione sui long video e su quelli brevi rispecchiava le abitudini di visualizzazione degli utenti e che allo stato i ricavi derivanti dai video non erano monetizzati «a causa del fatto che il formato è ancora nelle fasi iniziali e che Meta ha bisogno di tempo per monetizzarli senza intaccare l’esperienza degli utenti».

Ritenendo non proporzionata l’offerta sui video brevi ai ricavi che ne può ottenere Meta, per tutto l’autunno e la primavera, Siae ha chiesto a Meta di fornire i dati. Mai ottenuti, arrivando anche a proporre di abbreviare il tempo dell’accordo a un anno per poi redigerne uno quando fossero stato più chiaro l’oggetto della remunerazione e i ricavi della stessa Meta. Niente da fare.

A gennaio la società americana ha ribadito che l’offerta proposta è la sola coerente con i limiti del proprio budget. E anche quando, a licenza scaduta, Siae si è impegnata a non contestare l’utilizzo del materiale di cui gestisce i diritti d’autore, Meta si è rifiutata di fornire le informazioni richieste e cioé: la ripartizione dei propri ricavi per territorio – un dato che sarebbe utile anche per il calcolo delle imposte dovute nei diversi paesi in cui è utilizzata la piattaforma – e l’incidenza dei contenuti musicali nei loro diversi utilizzi. Il 15 marzo, quando la rimozione dei brani musicali è già stata paventata, Meta spiega che l’accordo deve essere fatto nei termini del «nostro modello accettato globalmente».

E in altre mail ribadisce che «non condivide né col pubblico né con i propri “partners” i dati sui ricavi a livello regionale o territoriale» considerandola confidenziale, e non correlata con l’utilizzo dei contenuti gestiti da Siae.

Ora l’Antitrust le impone invece di fornire i dati utili al negoziato. E nel caso non si trovasse l’accordo su quali possano essere utili, di nominare un fiduciario. La stessa Meta potrà proporre tre candidati all’authority, che non devono presentare profili di conflitto di interesse.

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