Una richiesta «del tutto irresponsabile» sotto il profilo delle gravi conseguenze sulla «sicurezza», «dell’incolumità delle persone» e della «funzionalità degli impianti». Non usa mezzi termini Cimolai, azienda che si è occupata della copertura dei parchi minerale e fossile all'Ilva di Taranto, per rispondere ad ArcelorMittal. Quest’ultima ha deciso di recedere dal contratto per il completamento delle due opere, un simbolo della difficile strada verso l'ambientalizzazione dell'acciaieria. Mentre il commissario Domenico Arcuri si appresta a finalizzare l’intesa che determinerà l’ingresso dello Stato nella nuova società che sarà controllata alla pari con Mittal, a Taranto scoppia l’ennesima grana.

Tutela ambientale a rischio

Al di là del contenzioso sugli aspetti economici - in corso c’è un arbitrato - sicurezza e tutela ambientale sono a serio rischio. Gli immensi capannoni coprono una superficie pari a quella di 28 campi da calcio con un'altezza assimilabile a quella di un palazzo di 25 piani. Le due strutture metalliche servono a evitare che il vento spinga nei polmoni dei tarantini le polveri dei minerali stoccati in stabilimento. La realizzazione dell’hangar per il parco minerali è praticamente finita, quella per il parco fossile è al 97 per cento. Ma Cimolai avverte: bisogna evitare che «il mancato completamento delle opere e l’assenza di manutenzione possano comportare danni alle opere già realizzate alle opere in via di completamento e soprattutto alle persone». Lapidaria la risposta di Am Italia: entro un mese, Cimolai deve lasciare il cantiere garantendone la messa in sicurezza per cui sono necessari «pochi ed elementari adempimenti».

Il precedente

Cimolai è un’azienda friulana presente in 58 paesi del mondo che ha realizzato alcune opere importanti. Quella paragonabile alla copertura dei parchi dell’ex Ilva, non solo per motivi prettamente ingegneristici, è il sistema di contenimento di Chernobyl in Ucraina. Nel luogo dove nel 1986 avvenne l’incidente nucleare più disastroso per l’umanità, ha costruito una gigantesca vasca metallica per inghiottire e neutralizzare il vecchio reattore. Nel rione Tamburi di Taranto, a pochi passi dalle ciminiere, la sfida è altrettanto complessa. Nella valutazione integrata di impatto ambiente e salute (Viias) pubblicata da vari enti di ricerca tra cui l’Agenzia per la prevenzione e protezione ambientale (Arpa) Puglia e la Asl di Taranto, considerando le emissioni di polveri sottili (PM 2,5) registrate nel 2015 si rappresenta «un rischio inaccettabile per chi risiede al quartiere Tamburi» più esposto all'eventualità di morire a causa di un tumore del polmone. La mastodontica impresa per frenare questo insidioso aerosol è iniziata a febbraio 2018 ed è quasi conclusa.

Lo scontro sui pagamenti

Tra ArcelorMittal Italia e Cimolai, però, i rapporti si sono logorati. E una goccia ha fatto traboccare il vaso di bile di ArcelorMittal. Il 20 ottobre, durante un’audizione alla commissione Attività produttive della Camera, il direttore tecnico di Cimolai Marco Sciarra diceva: «Siamo arrivati a uno scaduto di 14-15 milioni di euro, ci hanno dato un acconto a distanza di 90-97 giorni e oggi l’esposizione è di circa 4 milioni. Credo che a breve come Cimolai attiveremo un arbitrato perché sui lavori ci sono state differenze di vedute con ArcelorMittal». A proposito dei pagamenti aggiungeva poi che, sino a fine 2018, il range era da 2 a 15 giorni, a ottobre 2019 si è allungato a 30-35 giorni fino ad arrivare a 90-97 giorni. «Questo lo lego anche ad un cambio di management». Senza riferimenti diretti, il collegamento con la nomina di Lucia Morselli come nuovo capo a fine 2019 è immediato.

La società dell’acciaio immediatamente contrattacca con una lettera dei propri legali il 5 novembre. Quelle parole di Sciarra sono considerate «false, offensive e irresponsabili» e «hanno gravemente leso gli interessi economici, l’immagine e la reputazione della stessa ArcelorMittal nonché del suo ad Lucia Morselli». Costituiscono quindi un inadempimento delle obbligazioni assunte da Cimolai. Dopo poco più di un mese, il 25 novembre, la multinazionale comunica la rottura dei contratti sostenendo che Cimolai ha avanzato maggiori pretese economiche «del tutto infondate».

Il contenzioso e i rischi per Taranto

Cimolai ha scelto di non rilasciare dichiarazioni al riguardo. Però nella lettera al vetriolo del 27 novembre indirizzata alla direzione di Am Italia Cimolai evidenzia «l’estrema delicatezza della situazione anche sotto il profilo della tutela ambientale e dell’intera popolazione della città di Taranto oltre che per la tutela dei numerosi lavoratori addetti e impiegati nello stabilimento siderurgico». Chiede che Am chiarisca in maniera puntuale se Cimolai debba limitarsi al solo rilascio del cantiere tenendo presente «che tale vostra richiesta risulta del tutto irresponsabile sotto il profilo delle gravi conseguenze sulla sicurezza delle opere realizzate nonché da un punto di vista dell’incolumità delle persone, della funzionalità degli impianti, del deperimento di tutte le forniture in corso di installazione o da installare». O se, diversamente, si debba procedere anche alla messa in sicurezza delle opere tenendo conto che Am Italia ha prescritto anche una «limitazione dell’accesso del personale alle aree di cantiere». Sulla questione ambientale, infine, incombe l’ennesimo slittamento. Secondo Cimolai, ArcelorMittal Italia avrebbe presentato al ministero una tempistica per la fine lavori per il 3 luglio 2021 per il Parco minerale e il 4 settembre 2021 per il Parco fossile. «E quindi», dice Cimolai, «con termini addirittura ben superiori a quelli indicati nel cronoprogramma da ultimo sottoposto alla vostra valutazione».

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