Scalata a sorpresa della banca senese, che vuole creare il terzo polo bancario. Il governo ha l’11 per cento di Mps, e supporta il blitz di Caltagirone e Del Vecchio. L’obiettivo finale è il controllo del gruppo assicurativo. I dubbi degli investitori
Se non è un’Opa di Stato, poco ci manca. Il Monte dei Paschi, di cui governo è ancora il maggiore azionista con una quota dell’11 per cento, muove all’assalto di Mediobanca, storico marchio della finanza nazionale. Un’operazione che conta sull’appoggio Caltagirone e Del Vecchio, alleati di Palazzo Chigi e a loro volta soci di peso di Mps.
La scalata annunciata questa mattina prima dell’apertura della Borsa punta a creare il terzo polo bancario nazionale alle spalle di Intesa e Unicredit, un polo con vista sulle Generali, di cui il nuovo istituto Mediobanca-Mps, con l’aggiunta di Caltagirone e Del Vecchio, diventerebbe di gran lunga il più importante azionista.
In prospettiva resta da vedere quale potrebbe essere il destino del BancoBpm, a sua volta socio del Monte con il 5 per cento e candidato, prima dell’annuncio di oggi, a unirsi proprio con la banca di Siena. Il Banco, come noto, è nel mirino di Unicredit, che a novembre aveva annunciato un’Opa fortemente osteggiata dal governo e per il momento in stand by.
A questo punto non è da escludere che Unicredit possa ricevere il via libera, visto che Mps si sta muovendo in un’altra direzione. Se così fosse, nella nuova mappa del sistema bancario avremmo quindi tre grandi blocchi: Intesa, Unicredit-Banco e Mps-Mediobanca.
Tempi lunghi
La partita appare però ancora apertissima e il finale tutto da scrivere. Mps è pronta a mettere sul piatto 13,3 miliardi sotto forma di un’offerta pubblica di scambio di 23 azioni dell’istituto senese ogni 10 titoli di Mediobanca. Un’operazione carta contro carta, come si dice in questi casi, senza esborso di denaro cash, il cui esito dipenderà ovviamente dalla reazione degli investitori. Oggi, intanto, le quotazioni delle società coinvolte hanno avuto un andamento divergente, con Mediobanca che chiude a più 7,7 per cento mentre Mps ha ingranato la retromarcia chiudendo con un calo del 6,9 per cento. Sul mercato prevale per il momento la prudenza, se non i dubbi, nei confronti di un’operazione che porterebbe alle nozze tra due banche molto diverse tra loro e non semplici da integrare. Anche il prezzo offerto, a giudicare da come si sono mossi i titoli, viene giudicato troppo basso.
Passeranno comunque alcune settimane prima che l’Opa annunciata prenda davvero le mosse, non prima di giugno, e nel frattempo non sono escluse nuove sorprese. Dal fronte di Mediobanca, guidata dall’amministratore delegato Alberto Nagel, si tenterà di organizzare la reazione a un’Opa che, come hanno fatto filtrare fonti vicine all’istituto, viene considerata ostile. Il potere di Nagel si fonda sull’appoggio dei grandi fondi internazionali e di un patto di consultazione tra soci che raggruppa l’11,4 per cento del capitale. In questo nocciolo duro di azionisti sono presenti con piccole quote anche Stellantis, Pirelli e Unipol.
Nella stessa compagine con una partecipazione del 3,5 per cento in Mediobanca, troviamo anche Mediolanum, legata alla Fininvest della famiglia Berlusconi, che quindi dovrà decidere se schierarsi con gli scalatori sponsorizzati dal governo.
Luigi Lovaglio, l’amministratore delegato di Mps, parlando con gli analisti ha invece detto che l’offerta, definita «amichevole», serve a unire due marchi “che continueranno a lavorare insieme”. Un ramoscello d’ulivo che difficilmente verrà raccolto dalla controparte.
Nocciolo duro
Nell’azionariato della banca che fu di Enrico Cuccia è aumentato negli ultimi anni il peso di Delfin, holding dei Del Vecchio, forte di un 19,8 per cento, e Caltagirone, con un altro 7,76 per cento, la stessa coppia di soci che ritroviamo anche in Mps, rispettivamente con il 9,9 per cento e con il 5 per cento. Nel Monte dei Paschi la quota più importante è ancora del Tesoro che dopo la parziale privatizzazione dei mesi scorso conserva ancora un 11 per cento. Viste le forze in campo, è chiaro che nella banca post Opa il controllo di fatto andrebbe alla coppia di azionisti alleati del governo.
Il ministero dell’Economia «non ha posto nessun limite all’operazione» ha detto Lovaglio. E sarebbe stato difficile immaginare il contrario visto che da mesi l’esecutivo sta cercando di organizzare un terzo polo bancario da affiancare a Intesa e Unicredit. Un polo che nei piani del governo sarebbe dovuto nascere dall’unione tra Mps e BancoBpm. A novembre però quest’ultimo è finito nel mirino dell’Opa annunciata da Unicredit, una mossa che non a caso è stata accolta con ostilità dalla maggioranza di centro destra, con Matteo Salvini pronto a prendere le difese della banca milanese sotto attacco.
Tramontato un piano se ne fa un altro ed ecco che ora Mps punta addirittura su Mediobanca, un tempo crocevia del capitalismo nazionale e ora, con una quota del 13 per cento, custode di una quota decisiva per il controllo delle Generali. Se avesse successo l’Ops, si creerebbe un centro di potere con il gruppo Mps-Mediobanca in posizione dominante anche sulle Generali, in cui, va ricordato, la coppia Caltagirone-Del Vecchio gioca un ruolo di rilievo.
Sulla via di Trieste
Il costruttore romano vanta infatti una partecipazione del 6,92 per cento nel capitale del gruppo assicurativo, mentre Delfin possiede il 9,93 per cento. Anche qui i rapporti tra i soci sono tesi. Ad aprile è in programma l’assemblea di Generali che dovrebbe decidere se rinnovare il mandato all’amministratore delegato Philippe Donnet, sponsorizzato da Mediobanca e dagli investitori istituzionali, che nell’azionariato di Trieste pesano per il 35 per cento circa. Lo stesso Donnet che, se fosse per Caltagirone, avrebbe già fatto le valigie da anni.
Adesso però lo scenario si complica. Mediobanca, che a Trieste comanda da sempre, si trova sotto attacco e la sfida arriva da un gruppo come Mps che fino a un paio di anni fa navigava in cattive acque dopo aver evitato il dissesto con un salvataggio finanziato col denaro pubblico. Sotto la guida di Lovaglio Mps è ritornato a macinare profitti e ora diventa il perno di un nuovo ipotetico terzo polo sovranista. Un ribaltone difficile perfino da immaginare.
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