Il banchiere di Jp Morgan assiste il Monte nell’Ops su Mediobanca. I rapporti con Caputi a Palazzo Chigi e il ruolo nella vendita della rete a Kkr
Erano in prima linea come finanziatori nel lontano 2008, quando il Monte dei Paschi si lanciò nella sciagurata scalata all’Antonveneta. Eccoli di nuovo in veste di consulenti nel 2016, con Mps alla disperata ricerca di denaro per evitare il dissesto. Il paracadute arrivò dallo Stato che l’anno successivo versò più di 5 miliardi nelle casse esauste dell’istituto diventando azionista di controllo con il 68 per cento del capitale. E adesso che il Monte risanato si lancia nientemeno che nella scalata a Mediobanca, un’operazione che promette di ribaltare gli equilibri della finanza nazionale, Jp Morgan torna in campo.
Sarà la grande banca americana, per l’occasione affiancata dalla svizzera Ubs, a fare da advisor nell’Ops (Offerta pubblica di scambio) da 13 miliardi annunciata venerdì scorso.
Porte girevoli
Con Jp Morgan avrà quindi un ruolo di primo piano anche Vittorio Grilli, finanziere di lungo corso con una carriera a cavallo tra incarichi pubblici e privati che a Palazzo Chigi può contare sull’amicizia con Gaetano Caputi, capo di gabinetto di Giorgia Meloni.
Già ragioniere generale dello Stato, poi direttore generale del Tesoro e infine ministro dell’Economia ai tempi del governo di Mario Monti fino ad aprile 2013, Grilli è poi approdato al colosso Usa come presidente per l’Europa. Tocca a lui mettere a frutto la sua esperienza e la sua rete di contatti, compresi quelli nei palazzi romani del potere, per indirizzare gli affari della banca americana.
Negli ultimi anni, il profilo dell’influente banchiere spunta in alcuni dossier chiave legati a doppio filo alla politica, come il riassetto delle autostrade, la vendita della rete di Tim a Kkr e, adesso, la scalata a Mediobanca lanciata da Mps, che ha ancora il Tesoro come suo principale azionista con una quota dell’11 per cento. Grilli è ovviamente ben conosciuto e apprezzato nelle stanze del ministero dell’Economia e a rafforzare la sua posizione c’è il legame con Caputi, approdato negli uffici di Palazzo Chigi con il governo Meloni.
Stato & mercato
«È un’operazione di mercato», ha tagliato corto la premier commentando l’Ops annunciata dal Monte. Parole che suonano come un implicito via libera a un’operazione su cui è evidente il timbro dell’esecutivo. A novembre, con un collocamento lampo (accelerated book building), il Mef ha ceduto un altro 15 per cento della sua partecipazione in Mps e il 7 per cento è andato alla coppia Caltagirone-Del Vecchio, i due investitori privati che adesso hanno tutto da guadagnare dall’attacco a Mediobanca. Quel collocamento lampo provocò le proteste di investitori internazionali che si videro tagliati fuori. Accuse respinte dal Mef che ha ribadito la correttezza dell’operazione.
Da Palazzo Chigi, via Caputi, si arriva a Grilli e quindi a Jp Morgan, il consulente chiamato dal Monte dei Paschi nella cabina di regia della scalata. Nel 2022 fa la coppia Caputi-Grilli ebbe modo di lavorare a stretto contatto su un dossier a dir poco delicato come la vendita della rete telefonica di Tim.
In principio fu Tim
Dopo anni di tentativi a vuoto, il governo Meloni ha infine centrato il bersaglio cedendo un’infrastruttura strategica per il paese a una società che vede come socio di maggioranza la banca d’affari americana Kkr, che si affidò come consulente alla Jp Morgan di Grilli.
Un’operazione da oltre 20 miliardi di euro che ha ridisegnato l’assetto delle telecomunicazioni in Italia, senza però sgombrare definitivamente il campo dalle incognite di un mercato come quello delle tlc nazionali che vede due operatori come FiberCop, controllato da Kkr, e Open Fiber, in cui lo Stato è azionista rilevante, che si fanno concorrenza tra loro.
Ora Grilli torna a giocare una partita in cui il governo ha un interesse diretto. In un primo momento Mps sembrava destinato alle nozze col BancoBpm, messo fuori gioco dall’Opa annunciata nel novembre scorso da Unicredit. Così, adesso, la nascita del terzo polo bancario fortemente voluto dall’esecutivo passa dalla fusione tra il Monte e Mediobanca. Commentando l’operazione, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti tre giorni fa ha lodato gli «eccezionali risultati» realizzati dal management di Mps, guidato dall’amministratore delegato Luigi Lovaglio.
Da consulente a preda
Ironia della sorte, nell’autunno del 2022 fu proprio Mediobanca a giocare un ruolo fondamentale nel consorzio bancario che garantì l’aumento di capitale da 2,5 miliardi che diede il via al rilancio del Monte. All’epoca non fu affatto facile trovare investitori disposti a puntare su una banca che da oltre un decennio viaggiava con i conti in profondo rosso.
L’azionista pubblico (si era appena insediato il governo Meloni) mise sul piatto 1,6 miliardi, in linea con la partecipazione del 64 per cento e l’esecutivo fece ricorso a grandi dosi di moral suasion per reclutare sottoscrittori nel mondo degli enti pubblici e delle fondazioni. Il resto arrivò grazie al lavoro delle banche advisor, tra cui Mediobanca.
Partì da lì la rimonta, che grazie anche al sostegno finanziario dello Stato e al boom dei profitti per effetto del rialzo dei tassi, adesso permette a Mps di lanciarsi in una scalata alla stessa Mediobanca.
Sul mercato continuano a prevalere i dubbi. E infatti lunedì le azioni del Monte hanno perso un altro 2 per cento, con un ribasso che sfiora il 10 per cento da venerdì, quando è stata annunciata l’Ops.
Martedì 28 si riunisce il cda di Mediobanca per esaminare l’offerta annunciata. Il verdetto è scontato: “operazione ostile”.
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