C’è la maison di moda Valentino che vuole cancellare il settore pellicceria e la linea Red Valentino. Nelle dichiarazioni dell’amministratore delegato Jacopo Venturini è la svolta della sostenibilità, nei fatti significa una trattativa aperta – l’ultimo incontro ieri sera – su circa duecento posti di lavoro concentrati a soprattutto nella capitale dell’impero, Milano, ma con ripercussioni anche a Valdagno nel vicentino.

Perché dell’impero ci sono le sterminate periferie produttive: distretti dell’abbigliamento, sparsi tra la Lombardia, la Toscana e il Veneto, che arrivano fino ai terzisti campani e pugliesi, i distretti della calzatura, tra Veneto, Marche e Toscana, l’industria conciaria, e anche l’occhialeria, comparti che sono appesi per il 70- 80 per cento della produzione a stagioni e sfilate. In tutto fanno circa 580mila addetti che per riprendersi dalla crisi Covid hanno bisogno di tempo, tanto da aver aperto la discussione sulla possibilità di un blocco selettivo dei licenziamenti, diversificato per settore.

Il 2021 è perso

Quello della moda è un settore con le lancette dell’orologio regolate almeno sei mesi in avanti. Niente fiere a inizio anno significa stagione successiva cancellata. Sonia Paoloni, segretaria generale della Filctem Cgil, dice con rassegnazione: «Il 2021 è perso».

Il meccanismo congelato allo scoppio della crisi pandemica nei mercati asiatici ha bisogno di tempo per rimettersi in moto e andare a pieno ritmo. Il problema è che se le grosse aziende hanno potuto reggere l’onda d’urto dei costi fissi sotto la pandemia, tutto ciò che è attorno, le piccole imprese che lavorano conto terzi o le piccole che hanno i loro marchi, non è detto che reggano. Per dare una idea del colpo basta ascoltare i dati sul crollo dell’export snocciolati da Stefano Zanon, segretario generale della Femca Cisl del Veneto: crollo del 18,4 per cento del valore delle esportazioni, con picchi del 27,6 per cento per occhialeria e addirittura del 29,5 per cento nel distretto calzaturiero del Brenta che conta 10mila lavoratori.

In media l’export vale i due terzi dei guadagni del settore, e i dati del Veneto sono in linea con le stime raccolte a settembre da Confindustria moda, con il 70 per cento delle aziende prevedono di chiudere l’anno con cali del fatturato superiori al 20 per cento, ma una su cinque superiori alla metà.

Se durante la crisi pandemica, il dialogo tra Confindustria e sindacati confederali durante la crisi aveva funzionato tanto da portare alla firma, a settembre scorso, di un documento condiviso indirizzato al governo che definiva «altissima la preoccupazione per la tenuta delle filiere produttive».

Ora che invece è arrivato il vero test, con il blocco dei licenziamenti verso la scadenza, il settore si è diviso.

Il calzaturiero ha ottenuto il rinnovo del contratto nazionale, ma nonostante l’accordo raggiunto spesso a livello locale spesso ci sono tensioni per la richiesta di massima flessibilità su orari e straordinari. Le sigle dell’abbigliamento, invece, oggi scenderanno direttamente in piazza a protestare.

Al tessile è stato chiesto impegno sugli straordinari in sede di negoziazione, in cambio i sindacati domandavano una sorta di contrattazione di anticipo: «Come abbiamo gestito insieme la crisi volevamo gestire insieme le eventuali situazioni di crisi che si sarebbero potute presentare in questa fase delicata, ma il dialogo si è interrotto», dice Daniele Zambon, segretario della Fimca Cisl di Vicenza.

L’emorragia è iniziata

Intanto l’emorragia è già iniziata, a partire da stabilimenti che già traballavano. Oltre alla ristrutturazione di Valentino, in provincia di Vicenza, a Quinto Vicentino, si cercano investitori per sostituire il fondo del Qatar nella produzione di abbigliamento maschile Forall-Pal Zileri dopo l’annuncio a dicembre della volontà dei qatarini di fare le valigie. Ci sono 318 lavoratori in sospeso su cui tra l’altro la regione Veneto aveva investito 500 mila euro per formarli. Nel pescarese, sta arrivando al pettine l’annosa questione degli investimenti della multinazionale della moda francese Kering, il colosso che ha in mano che ha deciso di tagliare Gucci a Saint Laurent.

In entrambi i casi i sindacati nelle ultime due settimane sono riusciti a trattare per ottenere cassa integrazione e un accordo quadro per le fuoriuscite volontarie.

I distretti da salvare

Ieri i sindacati hanno ribadito alla Valentino il no agli esuberi e la necessità di riconvertire il personale. Ci sono crisi che erano già annunciate, ma in generale, secondo Paoloni, «a rischio c’è il 20 per cento della forza lavoro».

Per città come Como, Prato, Arzignano è un rischio che non si può correre. E anche nei comparti che hanno rinnovato il contratto la situazione non è affatto uniforme, se in Lombardia si aspettano solo di poter riprendere a lavorare, nel distretto marchigiano il panorama è differente. «Lì si tratta soprattutto di piccole aziende che hanno un marchio proprio, realtà che non hanno compiuto completamente la transizione dell’e-commerce e che in ogni caso hanno come primo canale le fiere più che le piattaforme digitali».

Terre mutate anche economicamente, con la pandemia, non solo per il post terremoto. E per cui i partiti, dopo settimane di dibattito sulla possibilità di misure ad hoc, non sembrano aver deciso nulla.

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