Nel suo discorso di insediamento, nel febbraio del 2021, l’ex primo ministro Mario Draghi diceva «Oggi noi abbiamo, come accadde ai governi dell’immediato Dopoguerra, la possibilità, o meglio la responsabilità, di avviare una Nuova Ricostruzione». Che bilancio si può fare, missione compiuta oppure no?

Come ha detto lei si trattava di avviare un processo. L’occasione era quella del Pnrr che Draghi aveva ereditato, con un paese all’uscita da una pandemia che andava accompagnato in una fase delicata, non semplicemente per tamponare l’emergenza, ma per cercare di avviare la traiettoria impellente di ripresa. È vero che Il senso del governo era di quello di ricostruzione del paese, ma era anche vero che questo era un esecutivo che aveva come orizzonte quello del 2023, due anni: quindi l’idea era gestire la transizione da una fase emergenziale e consegnare il paese al governo successivo con questa predisposizione.

Va bene, ma concretamente?

Sono state fatte parecchie cose di cui alcune più facilmente tangibili, come la campagna vaccinale, sostanzialmente implementata affidata a un esperto di logistica come il generale Figliuolo. E poi le riforme dettate dal Pnrr, la riforma della giustizia, il disegno di legge sulla concorrenza che include interventi di base che erano necessari e già previsti dal Piano di ripresa. L’anno Draghi è stato passato ad approvare provvedimenti normativi come le assunzioni per rafforzare il sistema giustizia, il rafforzamento dell’amministrazione pubblica, la semplificazione di una serie di norme per la transizione digitale e ecologica. Può sembrare poco, ma in realtà stiamo parlando di provvedimenti fondamentali: senza mettere mano all’assetto normativo non si potevano superare molti ostacoli nella realizzazione del Pnrr.

Le faccio un esempio concreto: ci sono progetti finanziati dal ministero dei Beni culturali bloccati dalle sopraintendenze che dipendono dallo stesso ministero che impediscono l’installazione di pannelli solari.

Non è soltanto l’eliminazione di un caso o una norma, si è cercato di avviare un ambizioso processo in modo che la semplificazione diventi abitudine. I problemi sono di lunga portata, ma serviva dare una direzione, stabilire delle priorità. Questo significa un cambio di filosofia rispetto alla complessità normativa. Ma anche che sulla gestione dell’acqua si mette in evidenza che il paese perde risorse idriche e, oltre all’emergenza di questi mesi, si deve pensare a una soluzione sistematica permanente.

I fondi del Pnrr saranno utilizzati anche per quello, poi, però, ci sono le riforme fallite: un esempio è la delega fiscale.

La delega fiscale è stata fatta, poi se non tutti sono d’accordo, questa è una questione della maggioranza parlamentare. Anche qui però il tentativo è dire: come fai a decidere la tassa sulla casa se non sai gli estimi, il valore di asset? Così non potrai mai disegnare un sistema fiscale che funziona. Poi tassare la casa o non la casa è una decisione politica e tecnica, ma per decidere hai bisogno di sapere quanto valgono gli immobili, hai bisogno delle informazioni dei veri redditi delle famiglie. Quel tentativo è stato fatto per poter aiutare le strategie dei governi successivi.

Draghi ha approvato una sola legge di bilancio, è stata una legge di bilancio che ha prolungato bonus di tutti i tipi, che non ha affrontato realmente la questione pensioni, non crede che quella prima e unica finanziaria sia stato un errore?

I bonus si fanno per le emergenze. Se hai aumenti delle bollette per la crisi energetica, non puoi fare un intervento strutturale fai un bonus come intervento di emergenza.

Il bonus bollette è ben disegnato, altri molto meno e non sono progressivi, e per il resto?

In questo paese di riforme del sistema pensionistico ne sono state fatte troppe, e non è stato sviluppato il terzo pilastro (la previdenza integrativa individuale, ndr). L’aspirazione qui era quella di proporre alcune idee che possano servire per i governi successivi. Allo stesso modo in un anno e mezzo non si rifà la struttura fiscale di un paese. L’impianto di questo esecutivo era basato su un piano di 200 miliardi di investimenti da gestire, cercando di incastonarlo in una direzione di sviluppo più duraturo, gestire una fase di transizione e se si può dire mettere il paese “sulla retta via”, penso per esempio al riposizionamento internazionale.

Cosa intende?

Era da De Gasperi che non avevamo un riorientamento così deciso sul fronte internazionale, una posizione molto chiara nel blocco atlantico, che dà una direttrice.

Il Pnrr è una pioggia di investimenti che l’Italia non vedeva da molti anni, ma ha anche delle tempistiche molto strette per realizzare i progetti. L’impressione parlando con le amministrazioni locali è che solo chi aveva già competenze e progetti pronti è arrivato preparato all’appuntamento. I progetti bocciati della regione Sicilia sono l’esempio estremo, ma non c'è il rischio che il meccanismo alla fine ampli i divari invece di restringerli?

Il Pnrr è una scommessa che richiede moltissimo sforzo, lo sforzo è l’ingrediente che fa la differenza. Questo è un paese molto eterogeneo e siamo deboli anche perché in passato abbiamo avuto carenze di personale. Però c’è una strategia per cercare di affrontare i problemi e di risolverli. Avrà successo? Dipende dalla quantità di sforzo. È possibile, non è impossibile. In questo paese si può fare di tutto. Sappiamo sulla rete dei trasporti le ferrovie dovrebbero cavarsela bene, hanno sempre fatto binari. Invece sulle parti più innovative, ad esempio la trasformazione green delle isole, serve molta iniziativa delle amministrazioni che se ne occupano. Poi è vero, la tempistica è molto stretta e quindi serve disciplina politica e amministrativa.

La fase economica ora è molto diversa, ieri la Banca centrale ha rialzato i tassi per la prima volta in undici anni: che impatto può avere sulla nostra scommessa?

La fase è complicata, con tutta probabilità è iniziato un rallentamento ciclico, le banche centrali hanno imboccato politiche restrittive, e visto che prima eravamo in una fase di ripresa con prezzi alti, ora difficilmente i prezzi riusciranno a riassorbire il precedente choc energetico, che dipendeva dagli aumenti dei prezzi dell’offerta e in parte dal costo dei chip per i quali, a causa dei lockdown della Cina, la disponibilità è scarsa. E i rincari dei prezzi dei materiali hanno un impatto sul fatto che i progetti avviati siano portati a termine.

Draghi ha sempre insistito sul fatto che uno degli obiettivi del governo era diminuire o combattere la disuguaglianza. Sul fronte del lavoro, però, i salari sono bassi, ci sono ancora troppi contratti a breve termine e adesso che si parlava di agenda sociale la legislatura è finita. Qual è il suo bilancio?

Il problema della disuguaglianza è comune a parecchi paesi occidentali dove la disuguaglianza di medio e lungo raggio è in aumento, ma da noi il problema si è aggravato quando ci siamo sistematicamente allontanati dai livelli di produttività degli altri paesi europei. La questione non è salariale, ma di Pil pro capite. E per affrontarla serve parecchia pazienza e e coniugare le decisioni di breve e lungo periodo. Se siamo sempre in emergenza e abbiamo fretta non si risolverà mai.

Serve anche agguantare transizione digitale e ecologica: siamo in ritardo. Possiamo colmarlo?

Durante il boom economico abbiamo guadagnato decine di punti percentuali in termini di reddito pro capite rispetto alla Germania, alla Francia, alla Gran Bretagna. Oggi è necessario fare un altro miracolo economico, sistematico e continuativo, In un mese, in due mesi, si rattoppano le emergenze, ci vuole sistematicità.

È ottimista o pessimista ora che il governo si è dimesso?

Né ottimista né pessimista. L’instabilità della politica italiana è sotto gli occhi di tutti, bisogna riuscire a riguadagnare la stabilita gestionale, un orizzonte più lungo. E questo è un problema che riguarda l’intero paese, qualsiasi di maggioranza, il punto è capire se ci riesce di trovare il bandolo della matassa.

 

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