Il governo sta preparando un piano di investimenti con orizzonte al 2030 cioè ben oltre il termine Piano nazionale di ripresa e resilienza. L’annuncio è arrivato all’incontro organizzato il 21 ottobre da Imi Corporate investment Banking – Intesa San Paolo sul tema Infrastrutture e Pnrr. 

La giornata ha riunito a Roma oltre a Rivera, il ministro Enrico Giovannini, e alcuni dei maggiori attori industriali e finanziari italiani: oltre ai padroni di casa, Mauro Micillo, amministratore di Banca Imi e capo della divisione investment banking di Intesa, il presidente del gruppo Gaetano Micciché, hanno partecipato tra gli altri, Pietro Salini, amministratore delegato di WeBuild, Luigi Ferraris di Ferrovie dello stato, Renato Ravanelli, amministratore delegato del fondo dei fondi infrastrutturali F2i, controllato da Cassa depositi e prestiti.

Lo spread degli investimenti

Quello che poteva essere un convegno paludato, ha in  realtà messo a fuoco alcune verità sulla fase che si apre per l’Italia con il Pnrr. Prima di tutto picconando la retorica sul Piano che può rappresentare un punto di non svolta, ma non senza un seguito, non da solo.  Mucillo ha messo in chiaro che gli investimenti del Pnrr sono solo il primo passo per cercare di colmare il gap con gli investimenti dei paesi vicini, il «vero spread tra l’Italia rispetto agli altri paesi europei»

Tra il 2009 e il 2019 gli investimenti in Italia sono passati dal 3,7 al 2,3 per cento del Pil, tradotto vuol dire da settanta a quaranta miliardi di euro, siamo sotto la media europea di oltre un terzo: «Noi siamo andati in controtendenza, in termini reali se in Germania c’è stato un aumento del venti per cento, da noi c’è stato un decremento del 16 per cento nello stesso periodo».

In effetti come ha ricordato Salini per le infrastrutture che sono 21 miliardi sul totale di 67 che verranno stanziati tra 2021 e 2016 grazie al programma Next Generation Eu sono circa un punto di Pil ma sull’arco di sei anni.

Quando è stato chiesto al direttore generale del Tesoro Rivera se il gap accumulato era dovuto ai vincoli di bilancio europei, Rivera ha riconosciuto che i vincoli europei hanno giocato un ruolo ma che il problema non si limitava a quello. Il direttore generale non lo ha ricordato, ma per diverse volte l’Italia non ha potuto utilizzare la clausola di flessibilità sugli investimenti contenuta nel patto di stabilità perché non c’era chi metteva fondi e progetti.

Oggi Mucillo ha lanciato la proposta di spingere sul modello britannico delle partnership pubblico privato e Laura Segni, dirigente della direzione legal advisory Imi, ha proposto che i bandi di progetto prevedano che ci sia già un accordo firmato da parte di un possibile finanziatore privato, in modo da coinvolgere un terzo attore che garantisca la fattibilità del progetto.

I contratti per il Piano nazionale di ripresa e resilienza devono essere firmati nel 2022, ma il cambio del sistema Italia sugli investimenti dovrebbe guardare molto più avanti. 

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