Il mercato non sa cosa sia il cordoglio e ogni momento è buono per fare profitti. Così la notizia della scomparsa di Silvio Berlusconi ha spinto al rialzo il titolo di Mediaset for Europe (Mfe) perché aumenterebbe la probabilità di una sua cessione che certamente valorizzerebbe la società più di quanto vale oggi in Borsa.

Molto si è scritto sulle origini opache di Mediaset, ma è indubbio che l’azienda sia stato un grande successo imprenditoriale basato sull’intuizione che la televisione privata, inesistente in quel momento, sarebbe stata strumentale per creare una posizione dominante nel mercato pubblicitario.

Si è così configurato un duopolio con la Rai che ha beneficiato entrambe: la concorrenza di Mediaset ha imposto a Rai di diventare più efficiente e innovare la programmazione, a beneficio degli utenti; mentre il canone, limitando la raccolta pubblicitaria della Tv pubblica, ha rafforzato la posizione di Mediaset.

Verso il declino

LAPRESSE

Creata nel 1987, Mediaset già valeva 4 miliardi a fine 1996, l’anno della quotazione, per poi toccare il picco a 30 miliardi a inizio 2000, con l’avvento di internet. Da allora però è stato un lento, inesorabile declino fino ai circa 1,7 miliardi odierni, meno della metà di quanto valeva al momento della quotazione di 27 anni fa.

Non sono un politologo, ma Mediaset ha reso possibile il Silvio Berlusconi leader politico che per tanti anni è stato al centro della scena italiana; ma è anche vero che il leader politico è stato fondamentale per preservare il duopolio con la Rai, permettendo a Mediaset di prosperare a lungo.

Lo stretto legame tra Mediaset e la politica italiana, se per tanto tempo ha beneficiato l’azienda, alla lunga ha però ridotto la capacità dei suoi vertici di anticipare i cambiamenti tecnologici e nei comportamenti dei consumatori che hanno gradualmente trasformato la televisione tradizionale in un settore in declino.

La zavorra

A questo si aggiungono i tanti errori che sono stati commessi. Gli investimenti nella produzione dei contenuti, con l’ingresso in Endemol, si sono rivelati fallimentari; come fallimentare l’utilizzo della transizione digitale per fare concorrenza a Sky nella Tv a pagamento con Mediaset Premium; si è capito in ritardo l’avvento dello streaming, quando già il segmento era presidiato dai colossi americani; il controllo di ProSiebenSat.1 rimane elusivo pur essendone Mfe il primo azionista col 26 per cento, né si capisce come l’investimento sia sinergico col resto del gruppo; e la trasformazione di Mediaset in Mfe, con lo spostamento della sede in Olanda e la fusione mancata con Mediaset España, non sono state dettate da una logica industriale ma al solo scopo di blindare il controllo della famiglia Berlusconi dall’assalto di Vivendi, che di Mfe rimane il secondo azionista, riducendo così il flottante a discapito dell’appetibilità del titolo per gli investitori.

Mfe potrebbe aumentare significativamente il proprio valore se si liberasse dai legami con la politica italiana, oggi una zavorra più che un aiuto, e si dotasse di una chiara strategia per usare i cash flow stabili generati dalla pubblicità con la televisione generalista per finanziare gli investimenti nei tanti segmenti a forte crescita nei media e nell’intrattenimento che la rivoluzione digitale ha reso possibile.

Gli eredi

Il problema è chi può elaborare e implementare una simile strategia. Mfe si trova nella situazione tipica di molte imprese a conduzione familiare, con la proprietà divisa tra cinque fratelli alle prese con il problema del passaggio generazionale a seguito della morte del fondatore.

Trovare unitarietà di vedute e di interessi tra cinque eredi è sempre molto difficile. In questi casi o uno dei figli trova un nuovo socio finanziatore che liquida gli altri quattro per permettergli di gestire la società come meglio crede, oppure tutti e cinque vendono al miglior offerente. Lo status quo può solo prolungare il declino.

Le prospettive

C’è poi il problema addizionale di Vivendi, controllata da Bollorè. Essendo il secondo azionista di Mfe dopo la famiglia Berlusconi, avrebbe un chiaro interesse ad acquisire il controllo della società sia perché, avendo già il 23 per cento del capitale, gli costerebbe meno di quanto dovrebbe pagare un investitore terzo, sia perché, unendo le sue attività nel settore dei media in Francia con quelle di Mfe in Italia, Spagna e Germania, acquisirebbe in un colpo solo una dimensione europea.

Ma non sarebbe nell’interesse della famiglia Berlusconi che potrebbe meglio valorizzare Mfe se trovasse un investitore che rilevasse la quota di Vivendi, per poi ricostituire il flottante, e solo allora cederne eventualmente il controllo, massimizzando l’incasso.

Gioca a favore della famiglia Berlusconi che il 18 per cento delle azioni di Vivendi in Mfe siano vincolate in un deposito fiduciario fino a quando i francesi rimarranno soci rilevanti di Tim. E poiché il processo di cessione della rete, e l’eventuale uscita di Vivendi da Tim, va per le lunghe, aumenta la probabilità che Bolloré alla fine possa decidere di vendere e uscire da Mfe di fronte a un’offerta allettante.

La scomparsa di Silvio Berlusconi cambierà non solo lo scenario politico italiano ma anche le prospettive di quella che è una delle poche grandi aziende italiane create negli anni Ottanta. C’è solo da sperare che le scelte dei suoi figli riescano ad arrestare il declino di Mfe, assicurandole un futuro di crescita in Europa.

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