Autostrade per l’Italia della famiglia Benetton vuole altri 400 milioni di euro di aiuti per i mancati incassi dovuti al Covid-19. Ne ha già ottenuti 332 di milioni qualche mese fa relativamente al periodo di lockdown marzo-giugno 2020. Ora vorrebbe il resto. È molto probabile che lo ottenga perché al ministero dei Trasporti (ora Mims, ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili) guidato da Enrico Giovannini, considerano la richiesta propedeutica alla conclusione della trattativa per la vendita di Autostrade alla Cassa depositi e prestiti. Tra i vari punti dell’estenuante negoziato in corso c’è anche quello dei ristori: prima di mettere la firma sull’atto di cessione, il gruppo Benetton e gli attuali soci forti di Autostrade vogliono la garanzia che arrivino i ristori nella misura rivendicata e che siano proprio loro a poterli mettere in tasca. In pratica pretendono che il prezzo finale salga da 9 miliardi e 100 milioni di euro a 9 miliardi e mezzo.

Premi di produzione

Nel frattempo con un gesto di prodigalità i vertici della concessionaria hanno deciso di omaggiare tutti i 5.300 dipendenti della società con un premio di produzione che arriva fino a 4mila euro lordi per i quadri aziendali nonostante la produttività nel 2020 sia ovviamente diminuita a causa del calo del traffico con punte, nel sistema autostradale, fino al 40 per cento. Le finalità dell’operazione sono due: compiacere dipendenti e sindacati in un momento di grande turbolenza e incertezza sul futuro dell’azienda. E nel contempo risparmiare sul costo del lavoro futuro. Il premio è congegnato in modo che dall’anno prossimo risulti abbassata la base di calcolo di riferimento per gli eventuali nuovi premi per i neo assunti. Che secondo i piani dell’azienda dovrebbero essere parecchi: 1.600, in prevalenza giovani ingegneri.

La Convenzione del 2007

Nonostante alla direzione ministeriale per le autostrade guidata da Felice Morisco siano più che accondiscendenti nei confronti delle richieste dei Benetton, c’è chi sostiene, documenti ufficiali alla mano, che quegli aiuti sarebbero indebiti. In seguito alla Convenzione unica del 2007 scritta ai tempi di Antonio Di Pietro ministro dei Trasporti, le concessionarie autostradali si dividono in due categorie: quelle che hanno optato per il riequilibrio e quelle che hanno deciso di escludere tale riequilibrio. Le autostrade del primo tipo concordano che nel corso della durata della concessione possano esserci revisioni dei piani economico-finanziari (Pef) e delle tariffe in aumento o anche in diminuzione in relazione ai dati di traffico e agli incassi.

Le autostrade del secondo tipo, invece, richiedono che la remunerazione prevista dai piani economico finanziari e le tariffe restino invariati, salvo gli adeguamenti dovuti agli investimenti effettuati e che ovviamente devono essere remunerati. In pratica non escludono il rischio. Nel caso in cui le cose vadano per il meglio si mettono in cassa tutti i vantaggi economici che ne derivano. Nell’assai remoto caso contrario, si dispongono ad accettarne le conseguenze. Autostrade per l’Italia appartiene a questa seconda categoria. In base alla Convenzione firmata a suo tempo dall’amministratore dell’Anas, Pietro Ciucci (a quel tempo l’Anas aveva la vigilanza sulle autostrade), e da Giovanni Castellucci che è stato capo di Autostrade per l’Italia fino a qualche mese dopo il crollo del ponte di Genova, la stessa Autostrade non ha richiesto il riequilibrio del piano economico e delle tariffe se non per effetto degli aggiornamenti periodici concordati ogni 5 anni e relativi solo ai nuovi investimenti.

L’ultimo aggiornamento quinquennale è avvenuto nel 2013 e aveva validità fino al 2017. In quell’occasione e anche successivamente Autostrade non ha richiesto di passare da una categoria autostradale all’altra, confermando di preferire il regime che esclude il riequilibrio e conferma il livello delle tariffe. Non è stata una mossa avventata dal punto di vista dell’azienda perché la modifica si sarebbe inevitabilmente portata dietro una serie di cambiamenti collegati alle indicazioni impartite nel frattempo dall’Art, l’Autorità di regolazione dei trasporti, in merito alla Convenzione unica tra Anas e Autostrade. Nel concreto Autostrade avrebbe dovuto rinunciare al vantaggiosissimo Wacc (Weighted average cost of capital, cioè il livello di remunerazione del capitale investito) ora fissato a oltre il 13 per cento e che sarebbe automaticamente sceso a quasi la metà, 7,1 per cento.

Socializzare le perdite

Nel frattempo c’è stato il Covid-19 che si è abbattuto sul traffico autostradale riducendo in maniera sensibile gli incassi al casello. Improvvisamente Autostrade per l’Italia si è trovata di fronte a una situazione imprevista molto negativa e dopo aver beneficiato per anni delle condizioni estremamente positive derivanti dal regime del non riequilibrio, ora vorrebbe cambiare le carte in tavola facendosi riconoscere un trattamento particolare. Detto in altro modo: dopo aver incassato utili a profusione per anni ora vorrebbe scaricare le perdite da Covid sugli automobilisti incassando nel frattempo i ristori dello stato.

Il direttore del ministero per la Vigilanza sulle concessionarie autostradali tempo fa ha inviato una circolare alle stesse concessionarie con allegata una nota tecnica con la quale vengono fissati i criteri per la misurazione dell’effetto Covid: «L’impatto economico è quantificato come differenza tra i ricavi per pedaggi effettivamente percepiti nell’arco temporale di riferimento e i ricavi dello stesso periodo del 2019». In pratica viene escluso il raffronto tra i ricavi a consuntivo e quelli previsti nei piani economico finanziari e deciso il completo ristoro della differenza tra i ricavi 2020 e 2019 senza tener conto dei maggiori introiti del 2018 e 2019 di Autostrade. La regola vale per tutte le concessionarie autostradali e prelude a una cascata di ristori che peserebbero probabilmente per miliardi di euro sulle casse dello stato.

Conti alla mano, i 400 milioni di euro di cui si sta parlando sono in ogni caso eccessivi alla luce dei bilanci ufficiali della concessionaria. La differenza tra i ricavi previsti dal piano economico finanziario vigente per il periodo 2018-2020 e non ancora aggiornato e ciò che è stato effettivamente incassato al casello è di appena 18 milioni. È questa la cifra giusta che secondo autorevoli analisti finanziari dovrebbe essere eventualmente concessa ad Autostrade a risarcimento dei danni Covid.

© Riproduzione riservata