Fra i nodi irrisolti dell’integrazione europea che la crisi del Covid ha fatto venire al pettine, quello del debito è uno dei più importanti. Già prima del Covid l’Europa stava andando incontro a una recessione. Ma questa crisi è diversa: uno “shock” che colpisce tutti (“virtuosi” dal punto di vista del debito accumulato e no), dal lato sia della domanda che dell’offerta.

Dopo pericolose esitazioni iniziali, la Ue ha trovato la via giusta: un’espansione coordinata dell’indebitamento pubblico, nella forma del Recovery plan. Chi lo paragona al piano Marshall del dopoguerra non sbaglia.

E come in una guerra, cui Mario Draghi ha paragonato la situazione, il ruolo delle finanze pubbliche è divenuto centrale, e modalità di finanziamento straordinarie sono diventate ammissibili.

Il debito perpetuo

Fin da marzo è stato proposto il debito perpetuo. Lo aveva teorizzato Luigi Einaudi. Lo ha ripreso George Soros, mentre uscivano al contempo il Piano spagnolo e una proposta di Francesco Giavazzi e Guido Tabellini.

Chi può emettere debito perpetuo? A quali condizioni l’Unione europea potrebbe emettere un debito comune, percepito dai mercati come un safe asset (un titolo dal rendimento basso ma certo), atto a stabilizzare i portafogli degli operatori?

Dietro il debito comune sta la questione della mutualizzazione del rischio: in un’unione monetaria in cui le politiche fiscali sono decise dagli Stati membri, mutualizzare significa chiedere ai contribuenti di uno Stato di sostenere le politiche di governi per i quali non votano. Cosa che può favorire pratiche opportunistiche, o di moral hazard (azzardo morale): si aumenta il proprio debito, confidando che sarà in parte pagato da altri.

Trasformare il Mes

Se si vuole che un debito pubblico europeo veda la luce, questo nodo va sciolto. E se, come osserva Francesco Saraceno, un Tesoro europeo federale non è una opzione praticabile a breve, proprio il Mes che tanto ha agitato il dibattito potrebbe essere una chiave, qualora venga trasformato, da creditore internazionale privilegiato nello strumento istituzionale di una politica europea.

L’economista Willem Buiter ha proposto che il Mes diventi un Fondo monetario europeo, finanziato dalla Bce e in grado di imporre ristrutturazioni sulla base di regole chiare.

Vi sono le considerazioni dell’istituto Delors e infine una proposta di Stefano Micossi, il quale propone che, forte del suo capitale (versato e non), il Mes si finanzi sul mercato per comprare i titoli del debito degli Stati, consentendo loro alla scadenza di rifinanziarsi con emissione di titoli perpetui ma lasciando il rischio del default sulle loro spalle.

Usare il Mes per emissioni di bond comuni con cui finanziare gli Stati, proteggendoli così dalle aspettative non sempre razionali dei mercati, è una prospettiva condivisibile.

Ma, ancora una volta, il limite della protezione è la mutualizzazione. Se mutualizzo, rischio di ritrovarmi preda del moral hazard, se lo reprimo rischio di non avere nessun debito comune. Come gestire questo dilemma?

Faccio una proposta migliorativa, almeno dal mio punto di vista, dal momento che sono io che la propongo: si istituisca un’Agenzia europea del debito.

Sulla base di un capitale a fini prudenziali che, grazie a un dispositivo assicurativo ad hoc, sarebbe inferiore al capitale versato del Mes, l’Agenzia emette obbligazioni non strutturate a scadenza finita, e con il denaro raccolto finanzia gli Stati con prestiti a scadenza infinita. L’Agenzia non acquista titoli del debito flottante, ma finanzia con prestiti perpetui solo debito nuovo o debito da rinnovare.

Essendo detenuta perpetuamente, la quota di debiti pubblici finanziata attraverso l’Agenzia è strutturalmente protetta dal rischio di liquidità (di rifinanziamento).

Poiché filtra tali rischi, l’Agenzia riceverà da ciascuno Stato una rata annuale di ammortamento calcolata solo secondo il suo rischio fondamentale, a sua volta legato a un rinnovato patto di stabilità. Data la sua elevata credibilità di istituzione europea adeguatamente capitalizzata, il tasso a cui l’Agenzia remunererà i mercati risulterà più basso del costo fondamentale di ogni Stato membro, anche del più sano. L’Agenzia troverà così il suo equilibrio finanziario a condizioni più vantaggiose di qualunque gestore di portafogli sul mercato.

Con l’agenzia, gli Stati e la stessa Ue potrebbero finanziarsi presso un soggetto che si confronta privatisticamente con i mercati, ma che ha la missione pubblica di ridurre al minimo gli oneri finanziari per gli Stati, senza necessariamente implicare la mutualizzazione.

Nell’ipotesi base le rate pagate all’Agenzia da ciascun paese sono proporzionali al suo rischio fondamentale. Si previene l’opportunismo garantendo però una protezione all’insieme degli Stati membri.

Tra gli stati e i mercati

Agendo da “intercapedine” fra gli stati e i mercati, l’agenzia del debito permetterebbe ai singoli stati di proteggersi dal rischio di rifinanziamento; ai mercati, e in particolare ai grandi operatori nazionali bancari e assicurativi di reperire un asset europeo sicuro; all’eurozona potersi considerare come uno spazio omogeneo grazie al progressivo scioglimento del circolo vizioso fra la solvibilità degli Stati e quella dei rispettivi sistemi bancari.

Un’agenzia di questo tipo consentirebbe di godere dei benefici di un Tesoro federale senza doverlo attendere. Funzionerebbe come un “Tesoro sintetico”: emetterebbe debito comune che i mercati assorbirebbero molto volentieri e che in ultima istanza la Bce potrebbe acquistare senza infrangere il suo mandato. 

Esistono momenti in cui la sola forma di prudenza che ci si può permettere è il coraggio di osare soluzioni nuove. Per l’Europa questo è uno di quei momenti.

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