Perché il Pil o il lusso non sono indici di felicità: cosa ci insegna il flourishing

Cosa mai sarà la felicità? Per decenni gli indici di benessere hanno guardato soprattutto a due dimensioni: la prima, il reddito, e la seconda, la soddisfazione di vita. In poche parole: belle case, auto costose, grandi amori e vacanze da sogno. Oggi la ricerca scientifica internazionale propone una visione più ampia della felicità: il flourishing (in inglese “fiorire”). Esso è inteso come la possibilità di vivere bene in tutte le dimensioni fondamentali dell’esistenza. La conquista dell’infelicità, siamo tutti classe disagiata Domini interconnessi Il costrutto psicologico è stato costruito dal gruppo dell’università di Harvard guidato da Tyler J. VanderWeele, e ha due strumenti di misura: il Flourish Index e il Secure Flourish Index. Non si tratta solo di benessere o assenza di malattia, ma di sei domini interconnessi: salute fisica e mentale, relazioni significative, senso e scopo della vita, carattere, virtù e stabilità materiale. Il primo passo è stata la nascita del Global Flourishing Study (Gfs), una collaborazione tra Harvard Univerisity, Baylor University, Gallup e Center for Open Science. Si tratta di una ricerca longitudinale che ha coinvolto oltre 200mila persone in 22 paesi, seguiti per cinque anni. I primi dati, sono stati da poco pubblicati su Nature Mental Health. Risultati che stanno facendo discutere: i paesi con più alti valori di flourishing (i.e. essere più felici) sono Indonesia, Filippine e Messico, mentre Regno Unito e Giappone compaiono nelle ultime posizioni. Il confronto con l’Europa – e con l’Italia in particolare – è istruttivo. Le popolazioni europee mostrano punteggi relativamente alti in salute percepita e stabilità economica, ma livelli più bassi di senso della vita, fiducia interpersonale e integrazione comunitaria. Ancora più interessante è il divario generazionale: nel Regno Unito, i giovani tra 18 e 24 anni riportano punteggi di benessere globale nettamente inferiori rispetto alle generazioni più anziane. Come si spiegano questi dati? La valutazione del benessere punta su fattori relazionali e comunitari: reti sociali forti, senso di appartenenza, partecipazione a gruppi e attività collettive (incluse quelle religiose). Queste dimensioni sembrano proteggere e rafforzare il benessere. In altre parole, non basta avere sicurezza economica; conta anche sentirsi parte di una comunità e vivere una vita con significato. Siamo tutti il ragionier Fantozzi. Come siamo diventati classe disagiata Cosa porta il flourishing La letteratura scientifica conferma questa lettura. Una recente rassegna pubblicata su Journal of Happiness Studies ha mostrato che le scale di flourishing si associano non solo a minore rischio di depressione, ma anche a migliori esiti in salute fisica e resilienza di fronte alle avversità. Questi risultati possono avere delle implicazioni pratiche. Le politiche pubbliche non possono limitarsi a garantire reddito. Occorre investire in capitale sociale, in ambienti urbani e lavorativi che favoriscano relazioni, in programmi scolastici che coltivino una idea di futuro, in servizi sanitari che promuovano non solo la guarigione ma la qualità della vita nel suo insieme. Il Global Flourishing Study è solo all’inizio. Proseguirà a seguire le stesse persone per altri cinque anni, offrendo dati preziosi su come cambiamenti sociali, economici o politici influenzino la capacità delle persone di vivere bene. Se sapremo leggere e tradurre questi risultati in politiche concrete, il “fiorire umano” potrà diventare non solo un ideale filosofico, ma un obiettivo misurabile delle nostre società. Una idea di vita che non si basi sull’ultimo modello di cellulare, sul numero dei like o sul numero di party a cui si è invitati. La letteratura scientifica sta dimostrando che il benessere è davvero multidimensionale. Misurare il progresso solo attraverso il Pil è scientificamente insufficiente. Promuovere il flourishing significa investire in relazioni, fiducia sociale, lavoro dignitoso e senso di condivisione. In altre parole, non è il lusso a rendere felici, ma una condizione strutturale di relazioni sociali condivise e collettive.