Mentre il governo si avvia faticosamente alla definizione della prossima manovra di bilancio, dai mercati arrivano altri segnali chiari, e tutt’altro che rassicuranti, verso Roma. Ieri, in una giornata che ha fatto segnare forti tensioni sui tassi a livello globale, il rendimento dei Btp a dieci anni ha varcato la soglia del 4,65 per cento un livello mai raggiunto negli ultimi sei mesi.

Anche lo spread si è allargato fino a quota 186 punti, il valore più elevato da fine maggio. Questo significa che il rischio Italia continua ad aumentare perché gli investitori vedono un esecutivo sempre più in difficoltà in vista dell’approvazione della Nadef, la nota di aggiornamento al Def della primavera scorsa.

Correzioni obbligate

Con il documento che dovrà essere presentato entro giovedì, il governo è chiamato ad aggiornare gli obiettivi di finanza pubblica per i prossimi anni alla luce dell’andamento dell’economia. A questo punto è ormai scontato che verrà ampiamente superato il limite del 3,7 per cento nel rapporto tra deficit e Pil fissato nel Def di primavera e concordato con la Commissione europea. L’approccio prudente ai conti pubblici che Giorgia Meloni ha ereditato da Mario Draghi, un approccio a suo tempo accolto con grande favore dai mercati finanziari, è stato messo a dura prova dai ripetuti incrementi dei tassi decisi dalla Bce, dall’inflazione che tarda a rientrare negli argini e dai costi di una serie di interventi, dalla sanità al taglio del cuneo fiscale, di cui l’esecutivo ha promesso di farsi carico.

Come lo stesso ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti ha ammesso pochi giorni fa, il solo aumento delle spese per interessi sui titoli di stato si porterà via 14 miliardi l’anno prossimo, una cifra che peraltro sembra approssimata per difetto e vale da sola all’incirca lo 0,8 per cento del Pil. Per finanziare la prossima manovra senza tagli che avrebbero ricadute pesanti in termini di consensi, la strada obbligata per il governo è quella di agire sul fronte del deficit programmato per il prossimo anno, che potrebbe arrivare al 4 per cento o anche di più. Il numero esatto dovrà essere concordato con Bruxelles, anche sulla base del nuovo Patto di stabilità da tempo al centro di complicate trattative tra i paesi Ue.

I margini negoziali per Roma, però, appaiono a dir poco ristretti e a giudicare dai primi approcci con gli altri partner europei, dieci giorni fa al vertice Ecofin di Santiago de Compostela, non ha finora raccolto grandi consensi neppure l’idea di barattare il via libera all’extra deficit con l’approvazione del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità che l’Italia, a differenza di tuti gli altri paesi, non ha ancora approvato.

Gettito extra

L’intervento sul deficit però da solo non basta. Per salvare almeno in parte la manovra vanno trovate velocemente altre fonti di finanziamento, anche perché l’imposta sugli extraprofitti delle banche, riveduta e corretta nei giorni scorsi da un emendamento che di fatto rende facoltativo il contributo da parte degli istituti, potrebbe alla fine fruttare solo qualche centinaio di milioni, o anche di meno, invece dei 3 miliardi come minimo che erano stati ipotizzati in agosto.

La necessità di trovare in fretta nuove fonti di gettito che tappino i buchi in manovra ha innescato il florilegio di ipotetici condoni su cui nei giorni scorsi si è esercitata soprattutto la Lega, con Matteo Salvini a dirigere il coro. Non ha sfondato, almeno per il momento, il provvedimento sui cosiddetti piccoli abusi edilizi, mentre il Consiglio dei ministri ha dato via libera alla sanatoria sugli scontrini di negozi e partite Iva. Un colpo di spugna che avrà un gettito al momento molto difficile da quantificare e che comunque avrà il fiato corto di una misura una tantum, non ripetibile, al pari di tutti i condoni, comunque vengano declinati.

Incognita energia

Ben diversa è la portata, e la durata, di un’altra grave incognita che resta sospesa sui conti del 2024. La prossima manovra, infatti, dovrà far fronte anche alle eventuali ricadute in termini di spesa pubblica dei possibili nuovi aumenti dei prezzi dell’energia. Aumenti che appaiono tutt’altro che ipotetici, viste le recenti recenti tensioni nelle quotazioni del gas e della benzina. Nessuno arriva a ipotizzare un boom come quello del 2022, ma la maggioranza degli analisti vede un trend al rialzo destinato a proseguire almeno per un semestre.

Misure di emergenza

Questo significa che il governo potrebbe essere costretto a varare nuove misure d’emergenza per ridurre il peso delle bollette sulle famiglie a basso reddito e sulle imprese con i consumi energetici più elevati. Vanno in questa direzione la proroga nel trimestre di fine anno dei bonus sociali per l’elettricità e dell’Iva agevolata per il gas, due provvedimenti inseriti nel decreto legge appena approvato in Consiglio dei ministri.

È tutt’altro che scontato, però, che gli aumenti sui mercati delle materie prime energetiche si esauriscano nell’arco di poche settimane. La prossima Nadef, quindi, dovrà tener conto di uno scenario che si profila diverso da quanto previsto a primavera dal ministero dell’Economia, quando l’esecutivo di centrodestra pubblicò il suo primo Documento di economia e finanza.

Per avere un’idea del costo di questi interventi, basti pensare che il bonus elettricità per le famiglie in disagiate condizioni economiche appena varato per decreto ammonta a circa 300 milioni per un solo trimestre.

Se gli aiuti dovessero essere prorogati, e ampliati, anche il prossimo anno gli oneri per il bilancio pubblico prenderebbero il volo. E per far fronte alle nuove spese certo non basteranno i proventi una tantum di altri fantasiosi condoni.

© Riproduzione riservata