Il Pnrr e l’annesso Fondo complementare, finalizzato ad accogliere le opere non finanziabili dal programma Next generation Eu perché non realizzabili entro il 2026, prefigurano fra gli interventi chiave la realizzazione di una linea ferroviaria ad Alta velocità del tutto nuova, con caratteristiche adatte anche al trasporto merci, da Salerno a Reggio Calabria. L’obiettivo è quello di collegare il centro calabrese a Roma in 4 ore e il generico studio preliminare predisposto da Rfi prospetta costi di realizzazione molto elevati (27 miliardi di euro per l’intera linea, oltre 10 per i lotti già finanziati col Fondo) con tempi di realizzazione medio lunghi.

Questo progetto risponde alle molte istanze provenienti dalla Calabria, volte a “risarcire” la regione dei mancati finanziamenti degli ultimi anni e alla richiesta di avere una Av “vera”. Ma, anche ignorando quanto speso per la nuova autostrada A3, questa narrazione trascura il fatto che la linea ferroviaria esistente, grazie anche a diversi investimenti effettuati di recente, presenta già standard prestazionali elevati, con velocità massima che raggiunge per lunghi tratti i 200 km/h.

Cosa manca

Di fatto, già oggi i treni potrebbero percorrere i 650 chilometri che vanno da Roma a Reggio Calabria in circa 4 ore e mezza: un tempo paragonabile a quello necessario per andare dalla capitale a Torino, che si trova più o meno alla stessa distanza. Se questo non accade, non è certo colpa della linea, quanto di alcune circostanze che ne impediscono un utilizzo adeguato. In primo luogo, tra Roma e Napoli-Salerno la maggior parte dei treni diretti in Calabria non percorre la linea ad Alta velocità esistente, ma la vecchia direttrice costiera, allungando così la percorrenza di circa un’ora. In secondo luogo, i treni fermano in numerose località, cosa che lungo l’Av nel centro nord non avviene, tagliando di fatto fuori dalla rete nazionale centri importati come Alessandria, Parma, Arezzo e molti altri. Terzo aspetto, fondamentale: l’orario è mal congegnato e finisce per accodare i treni veloci al traffico regionale, rallentandoli (nonostante la linea, interamente a doppio binario, sia molto lontana dalla saturazione). Da ultimo, ma non meno importante in una regione fondamentalmente policentrica come la Calabria, i servizi di lunga percorrenza non sono coordinati con la rete di servizi regionali, nel complesso carente. Per fare soltanto un esempio, al suo arrivo nella stazione di Paola il treno più veloce da Roma non trova alcun cambio per Cosenza, che così viene a trovarsi anche oltre le 6 ore dalla capitale, contro le tre ore e 45 minuti già oggi possibili, se soltanto qualcuno (Trenitalia, Italo o la regione attraverso un contributo come fanno già il Friuli-Venezia Giulia e l’Umbria) decidesse di servire le due località.

Il tema delle merci

Come si vede dagli esempi, la Calabria è già oggi collegabile con la capitale con tempi di viaggio e velocità commerciali paragonabili ai grandi centri del nord, dove l’Av ha avuto, soprattutto, il pregio di liberare capacità su linee sature prima che di correre a 300 km/h (peraltro raggiunti solo in alcune parti del tracciato).

C’è poi il tema delle merci. Il porto di Gioia Tauro è già accessibile dalle Alpi con la sagoma massima via Bari, Taranto e Sibari e dunque la nuova linea non è necessaria per raccordare questo scalo al resto della rete. Ciò nonostante, verrà progettata con caratteristiche tali da renderla molto più costosa di quanto richiesto dai soli obiettivi di velocizzazione del traffico passeggeri.

C’è allora da chiedersi per quale motivo il governo e soprattutto il ministero delle Infrastrutture e mobilità sostenibili del ministro Enrico Giovannini abbiano da subito scartato l’ipotesi di utilizzare meglio la linea attuale proseguendo con gli investimenti in corso. Investimenti che consentiranno già a breve di ridurre i tempi di percorrenza tra Roma e Reggio Calabria intorno alle 4 ore e 15 minuti e con ulteriori interventi di costo ancora relativamente contenuto, attuabili nel giro di alcuni anni, anche al di sotto delle 4 ore. Esattamente lo stesso obiettivo che ci si ripropone di conseguire con un megaprogetto ad alto rischio, ma soltanto dopo il 2030 e spendendo quasi dieci volte tanto. Si tratta di una domanda che dovrebbe quanto meno poter essere posta nella fase di dibattito pubblico promessa per la valutazione del progetto, evitando di escludere prima del tempo alternative potenzialmente valide e per di più scavalcando quanto già approvato dal parlamento con l’Allegato infrastrutture al Def 2020. Se la risposta non dovesse arrivare, qualcuno potrebbe iniziare a chiedersi di quali colpe si siano macchiati i triestini, i genovesi, i bellunesi, i teramani, i leccesi e molti altri italiani, per essere collegati a Roma peggio dei calabresi.

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