L'avvocato Pietro Amara e i suoi presunti complici sono stati arrestati martedì scorso e la mattina dopo i quotidiani hanno raccontato il nuovo scandalo giudiziario. Tra giovedì e venerdì sono usciti circa 60 articoli di approfondimento. Solo in sei di questi era nominato Nicola Nicoletti, arrestato con Amara, e in nessuno era nominata la società per cui lavora da 22 anni, la Pwc, acronimo di Price Waterhouse Coopers. Ci sono ciechi raffinatissimi. Se passa un certo tipo di elefante, sanno come non vederlo. Eppure, secondo le accuse ben documentate dalla procura di Potenza, il perno del sistema corruttivo che avrebbe asservito il procuratore capo di Taranto Carlo Maria Capristo agli interessi dell’Ilva commissariata (quindi pubblica), è il manager di uno dei colossi mondiali della consulenza. Senza Nicoletti, che gli spalanca le porte dell’Ilva, Amara avrebbe combinato ben poco. Quando arriva alla famiglia Riva il messaggio che, assoldando Amara, saranno trattati meglio dalla procura, sono proprio loro, i “pessimi” Riva, a mostrarsi più seri: una breve ricerca Google su Amara, una smorfia schifata di Claudio Riva e la proposta lasciata cadere.

La Pwc opera in 155 paesi con 284 mila dipendenti e circa 40 miliardi di euro di fatturato. In Italia ha sedi in 24 città e 6 mila persone. Non commenta l'incidente giudiziario. L’arresto di Nicoletti per corruzione in atti giudiziari smonta la pigra superstizione secondo cui una giustizia marcia penalizza le oneste imprese italiane. In realtà vivono in simbiosi. Eppure la mitica Europa, che impara queste sciocchezze dai lobbisti di stanza a Bruxelles, chiede la riforma della giustizia, perpetuando l'equivoco iniziato trent'anni fa con Mani pulite: in Italia ci sono i corrotti ma non i corruttori; la corruzione fa solo vittime e nessun beneficiario. Ma se Amara viene pigramente descritto come “faccendiere”, Nicoletti che mestiere fa? Se il sistema pubblico è marcio, come nuotano in quell'acqua i manager privati? Per aggiustare una grana giudiziaria dell’Ilva, Nicoletti fa pressioni sull’ufficio legale perché induca un tecnico a prendere su di sé la colpa della morte dell’operaio Alessandro Morricella: è sana pratica (best practice, dicono loro) di mercato o stile malavitoso? La Cassazione ce lo dirà tra anni, lasciandoci il dubbio se i tempi lunghi penalizzano le imprese o sono studiati per salvarle.

Tutti a cena insieme

Quando l’Ilva viene sottratta ai Riva e commissariata, nel 2013, è il commissario Enrico Bondi ad assoldare la Pwc come consulente per le partite processuali che si giocano su danni, ingiusti profitti e possibili sanzioni. Partite da centinaia di milioni per le quali la Pwc schiera la sua punta di diamante, Nicoletti, l’uomo della consulenza legale. La parola magica è compliance (si pronuncia complaians, un suono dolce che evoca il profumo rassicurante delle cose formalmente in regola): le aziende devono sottostare a «normative sempre più stringenti e non sempre tra loro coordinate, la sfida è quella di garantire la conformità richiesta dalla legge con una grande attenzione ai costi». Per combinare “compliance e performance”, Nicoletti e Amara il 23 marzo 2016 ottengono la nomina a capo della procura di Taranto di Carlo Maria Capristo che in cambio garantirà un occhio di riguardo per l’Ilva, fino a quel momento “vessata” dal predecessore Franco Sebastio, padre del maxi-processo chiuso due settimane fa con condanne per secoli di carcere. È nell’interesse del governo Renzi e di tutta la politica avere a Taranto un magistrato “dialogante”. Si mostrano sensibili alla causa la futura presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati ma anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti e un esponente Pd in dissidio con Lotti come il pugliese Francesco Boccia. Tutti vogliono che l’Ilva produca e i magistrati la smettano di rompere le scatole. Luca Palamara, onnipotente arbitro delle carriere, ammette che su Capristo si dicono «cose pessime» ma che «purtroppo troppe cose mi hanno schiacciato». Quella nomina è una grande operazione di sistema pubblico-privato di cui Amara è solo un furbo esecutore.

I liberisti a gettone, che si sciacquano quotidianamente la bocca col nome di Adam Smith, dovrebbero spiegarci come si inserisce nella loro cosmogonia il fatto che il commissario Enrico Laghi e Nicoletti, proprio in quanto manager di una azienda sotto processo per la legge 231, vengano invitati a cena dal nuovo procuratore della Repubblica per festeggiare la nomina ottenuta. È normale che un magistrato, ottenuta una nomina, festeggi invitando a cena gli imputati? A Taranto è successo e a tavola non c'era un boss della mafia ma un boss della Pwc. I garantisti a gettone dovrebbero invece commentare i messaggini in cui Capristo e Nicoletti (manager dell'azienda imputata per reati gravissimi, tra cui l'omicidio) si danno del tu e si salutano con abbracci: è questa intimità tra imputato e pubblico ministero il famoso garantismo?

Il sito della Pwc rivendica: «La nostra forza è abbinare la conoscenza dei mercati locali ad un’organizzazione di respiro globale». Chissà se tra i “mercati locali” ci sono anche i suk giudiziari. Le vestali della purezza del capitalismo dovrebbero solo spiegarci se quelli come Amara o Nicoletti lo fanno per il puro gusto di farlo, per la pura soddisfazione di spicciare le faccende a questa o quella grande azienda, a loro insaputa.

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