Era il 2012, nel pieno della grande recessione, quando Alcoa, la multinazionale americana dell’alluminio decise di chiudere lo stabilimento di Portovesme, nel sud della Sardegna, mandando a casa circa mille lavoratori e dando vita a una vertenza ancora irrisolta, nonostante più volte negli ultimi anni sia stata annunciata una svolta decisiva. A dodici anni di distanza centinaia di lavoratori sono ancora in cassa integrazione straordinaria e le promesse di tutti i governi, compreso quello in carica, si sono fin qui risolte in un nulla di fatto.

Dopo l’annuncio nei primi mesi del 2012, l’attività produttiva dell’impianto Alcoa di Portovesme viene interrotta nel novembre dello stesso anno, e lo stabilimento viene chiuso definitivamente nel 2014. Nel 2016 la società annuncia lo smantellamento al fine di “sviluppare nuove opportunità di business”, dopo aver constatato “l’impossibilità di trovare un acquirente”. Invece, a tempo ormai scaduto, l’acquirente arriva: è la svizzera SiderAlloys, società fondata a Lugano nel 2010 guidata dal manager Giuseppe Mannina. Siciliano d’origine passaporto italiano, cittadinanza elvetica e residenza a Montecarlo, Mannina vantava tra l’altro un rapporto privilegiato con l’oligarca russo Roman Abramovich. Così alla fine del 2017 si raggiunge l’accordo per la cessione dello stabilimento di Portovesme, che si concretizza nel febbraio del 2018, con un procedimento in due fasi: l’Alcoa cede il ramo d’azienda a Invitalia, che la rivende a SiderAlloys, con una garanzia d’investimento di 135 milioni di euro. Nel maggio dello stesso anno viene definito il programma di riapertura dello stabilimento: terminata in pochi mesi la fase di riammodernamento, alla fine del 2018 sarebbero stati riassorbiti i primi 50 lavoratori, riavviando gradualmente la produzione a partire da maggio dell’anno successivo, per tornare a pieno regime entro la fine del 2020.

La prima ripartenza dello stabilimento sì è avuta solo a marzo del 2023, quando 200 lavoratori sono tornati nelle fonderie. Tuttavia il vero rilancio è ancora lontano, visto che mancano all’appello ancora circa 400 lavoratori che sono in mobilità, con un sussidio di poco più di 400 euro al mese.

Una parte di questi potrebbe essere impiegata per il revamping delle 300 celle di elettrolisi adibite alla produzione di alluminio primario, il vero valore aggiunto dell’azienda, visto che dalla fine dell’Alcoa nel 2012 in Italia non si produce più alluminio. Lo stabilimento di Portovesme garantiva circa 150 mila tonnellate di alluminio l’anno, pari al 15% del fabbisogno nazionale. Così a fine anno arriva l’ennesima svolta: lo sblocco della garanzia Sace per il completamento del revamping, che andrebbe a coprire circa l’80% dei finanziamenti necessari.

Il presidente della regione Christian Solinas ha salutato con successo la notizia, prospettando un riavvio consistente della produttività entro la fine del 2024. Ma i sindacati, dopo anni di illusioni, vogliono vederci chiaro, e hanno chiesto e ottenuto un incontro con il governo e con i vertici aziendali, che si terrà al ministero delle imprese e del Made in Italy la prossima settimana, giovedì 18 gennaio.

«Il ministero ci dovrà dare la garanzia che entro un determinato periodo riparta la produzione di alluminio primario», dichiara Roberto Forresu, Segretario Generale di Fiom Sardegna. L’obiettivo è tornare con la produzione a pieno regime entro il 2026, procedendo al reintegro dei lavoratori ancora in cassa integrazione, mettendo fine a un incubo che va avanti da dodici anni.

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