Sono rimasta turbata dalla puntata di Report di Rai3 sulla vendita a prezzi gonfiati di diamanti agli sportelli di molte banche italiane. Ha dell’incredibile il sabotaggio professionale del funzionario di Banca d’Italia Carlo Bertini che voleva andare a fondo ed è stato demansionato.

Decine di migliaia di investitori sono stati di fatto raggirati dai maggiori istituti di credito del Paese ma secondo i vertici di Banca d’Italia la cosa non era di loro competenza, iniziando con il solito scaricabarile fra le authority.

Come risparmiatrice esagero se dico che non mi sento al sicuro se chi deve vigilare si volta dall’altra parte asserendo che non gli compete e addirittura persegue i dipendenti che cercano di fare chiarezza?

Ho ricavato l’impressione che chi dovrebbe vigilare sulle banche e la tutela dei risparmiatori ha interessi che possono essere anche differenti e perfino opposti e la legge non è uguale per tutti. Con vigilanti forti con i deboli ma deboli con i forti.

T.

Gentile T., Seguo come consulente finanziario indipendente da anni la vicenda della vendita dei diamanti d’investimento e insieme a pochi altri “cani sciolti” ho denunciato i rischi di una nuova stangata sui risparmi degli italiani.

Dopo la messa in onda della trasmissione di Rai3, in un’intervista rilasciata a La Stampa, il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, si è difeso dicendo che sui diamanti d’investimento la competenza non era di via Nazionale perché i diamanti non erano stati classificati dalla Consob (l’altra authority di controllo) come investimenti finanziari ma una pratica commerciale: come la vendita delle enciclopedie, per capirsi. La responsabilità quindi secondo Visco non era di Bankitalia.

Secondo il governatore della Banca d’Italia l’inchiesta di Report «non è solo lacunosa. È erronea e fuorviante, anche perché basata su registrazioni effettuate a insaputa degli interessati, tagliate così da offuscare il contesto e rovesciarne il significato. Vi sono poi state illazioni assolutamente fantasiose e offensive». Visco aggiunge che Banca d’Italia è intervenuta quando si sono accese alcune spie (in seguito a un’ispezione antiriciclaggio) irrogando forti sanzioni e dando “la massima collaborazione all'autorità giudiziaria. E non vi è stata nessuna pressione né dall'interno né dall'esterno".

Le parole del governatore della Banca d’Italia attuale mi hanno riportato alla memoria cosa scriveva 30 anni fa circa un altro governatore, Guido Carli, che ricordava come «gli autori della legge bancaria del 1936 stabilirono che la parola ‘banca’, ‘banco’ o ‘cassa di risparmio’ avrebbe potuto figurare soltanto nelle insegne poste all’ingresso di istituti assoggettati al controllo della Banca d’Italia. E così facendo i risparmiatori dovevano essere garantiti che quanto accadeva all’interno di questi istituti sarebbe stato tutelato dalla Banca d’Italia».

Il caso in parlamento e la Consob

Il caso dei diamanti d’investimento dovrebbe ora approdare alla Commissione parlamentare d’inchiesta-bis sul sistema bancario (presieduta da Carla Ruocco) che dovrebbe audire fra poche settimane Visco, proprio sul caso sollevato in tv da Report sulla base della testimonianza del funzionario whistleblower Carlo Bertini, e difendersi dalle accuse di scarsa supervisione di via Nazionale sulla vendita di diamanti alla clientela da parte di alcune grandi banche.

Ci sono diversi punti oscuri certo da chiarire da questa vicenda e nemmeno la Consob ne esce benissimo, secondo alcune associazioni di risparmiatori. Nel maggio 2013, con una comunicazione specifica, la Consob aveva fornito un incredibile assist alle società di brokeraggio dei diamanti e alle banche per venderli massicciamente, dichiarando che i diamanti d’investimento non erano prodotti finanziari.

Ergo, le banche potevano venderli ai risparmiatori senza dover fare troppo domande e ricorrere alla profilatura del cliente Mifid, sul profilo di rischio o l’orizzonte temporale poiché non si trattava di un investimento di natura finanziaria e “bisogna escludere pertanto che sia applicabile alle operazioni di investimento in diamanti la complessiva disciplina dettata in materia di offerta al pubblico, ivi inclusa quella concernente la pubblicità”. 

Per la Consob (all’epoca sotto la presidenza di Giuseppe Vegas) per investimento di natura finanziaria si dovevano, infatti, intendere “le proposte d’investimento che implichino la compresenza di tre elementi, quali l’impiego di capitale, l’aspettativa di rendimento di natura finanziaria e l’assunzione di un rischio direttamente connesso e correlato all’impiego di capitale”.

Argomenti che erano proprio quelli utilizzati dagli stessi intermediari nei loro opuscoli promozionali, come ha rilevato poi l’Autorità Antitrust (Agcm).

Farla franca

Si potrebbe fare forse qualche dietrologia a scoprire dalla lettura del provvedimento della Consob che quel parere “tana liberi tutti” era stato richiesto (l’ho scoperto rileggendo i provvedimenti dell’Agcm del 30 ottobre 2017) proprio da Dpi (Diamond Private Investment) fra le maggiori società protagoniste poi del collocamento dei preziosi attraverso il canale bancario.

La società all’epoca era presieduta da un importante ex capo della vigilanza di Banca d’Italia (Massimo Santoro, deceduto qualche mese fa) passato poi alla libera professione. Secondo Report l’uomo giusto al posto giusto che ha pianificato il meccanismo di vendita dei diamanti attraverso gli sportelli bancari. Un collocamento che ha fruttato agli istituti centinaia di milioni di euro di guadagni. Ed è costato qualche milione di euro di sanzioni.

Colpisce quindi come una nota stonata la difesa di Visco di Banca d’Italia sulle «pesanti sanzioni alle banche interessate» comminate dall’Agcm.

Le sanzioni irrogate sono state infatti di 4 milioni di euro per Unicredit; 3,35 milioni per Banco BPM; 3 milioni per Banca Intesa; 2 milioni per Banca Mps.

Sono «significative» come dice Visco? Nello stesso provvedimento dell’Agcm si sono stimati i ricavi commissionali che queste banche hanno portato a casa dalla vendita dei diamanti e sono un multiplo della multa!

Secondo la stessa Agcm il gruppo Bpm che è stato sanzionato per 3,35 milioni di euro ha guadagnato dalla vendita dei diamanti nel periodo 2011-2016 complessivamente oltre 100 milioni di euro. Unicredit oltre 40/50 milioni di euro, Intesa oltre 10-15 milioni di euro di commissioni solo nel 2016 «quale compenso per aver segnalato a Dpi i clienti interessati all’acquisto di diamanti» mentre per Monte dei Paschi di Siena «le commissioni percepite a seguito dell’attività di segnalazione per data fatture hanno superato i 10-20 milioni di euro nel 2015 e i 20-30 milioni di euro nel 2016» per poi inaridirsi dopo la messa in onda della trasmissione Report su Rai3. Che ha fatto finire il gioco.

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