Con l'eccezione del Movimento 5 Stelle, quasi tutti i partiti italiani hanno dedicato nel corso dell'ultimo anno e mezzo ampio spazio alle polemiche contro coloro che percepiscono irregolarmente il reddito di cittadinanza. Anche se non esistono dati affidabili su questo fenomeno, il fatto che il reddito di cittadinanza sia oggetto di truffe, come ogni altra forma di sussidio, è diventato uno dei principali argomenti a favore della sua abolizione.

Non sembra una battaglia destinata al successo, non solo per la sua impopolarità, ma anche perché la crisi economica causata dal coronavirus è destinata ad aumentare il bisogno di strumenti di lotta alla povertà, non certo a diminuirlo. Già prima della crisi, tra 2007 e 2018, l’Italia aveva visto aumentare il numero di poveri assoluti di circa il 180 per cento. Nel nostro paese le persone che non riescono ad acquistare un paniera di beni essenziali sono cinque milioni.

Abolendo il reddito di cittadinanza, senza sostituirlo con uno strumento altrettanto ampio, l'Italia tornerebbe alla situazione pre 2017, quando era l'unico paese europeo, insieme alla Grecia, a non prevedere un sussidio universale di contrasto alla povertà.

Gli attacchi al reddito di cittadinanza, inoltre, dimenticano che truffe, evasione e indebite appropriazioni di sussidi avvengono in tutti gli strati sociali e sono spesso tanto più ampi quanto più si sale la scala del reddito.

Durante la pandemia, ad esempio, l'Ufficio parlamentare di bilancio ha stimato che un quarto del totale delle ore di cassa integrazione è stato richiesto da imprese che non hanno avuto nessuna riduzione del fatturato. Si tratta di imprese che hanno chiesto allo stato di farsi carico degli stipendi dei loro lavoratori, ma che hanno poi chiesto a questi ultimi di continuare a lavorare, in aziende o in smartworking. Secondo alcuni dati esaminati dall’Huffington Post, 234mila imprese che non hanno subito cali di fattura hanno provato a ottenere il sussidio e altre 188mila sono riuscite ad ottenerlo.

Un altro fenomeno ha riguardato i lavoratori che utilizzano la partita Iva ma che di fatto lavorano con un unico committente. Migliaia di loro in tutta Italia hanno ricevuto istruzioni da parte dei loro datori di lavoro di fare richiesta per il bonus destinato alle partita Iva, mentre le loro fatture sono state decurtate di un importo pari al bonus. Non esistono al momento stime di questo fenomeno, ma negli ultimi mesi giornali e associazioni hanno ricevuto centinaia di segnalazioni di questo comportamento.

Non c'è bisogno di pandemie perché si verifichino questi fenomeni. In un’audizione al Cnel dello scorso ottobre, la professoressa Fabrizia Lapecorella, direttrice delle Finanze del ministero dell'Economia, osservava che il normale tasso di evasione di imprese e lavoratori autonomi in Italia è stimato tra il 43 e il 68 per cento, a seconda della metodologia utilizzata per il calcolo. Nella stessa analisi, la professoressa mostrava che l’evasione fiscale Irpef, in termini di quantità di imposta evasa, si concentra tra le famiglie che appartengono al decimo più ricco della popolazione. Sono dati che trovano riscontro in ricerche e analisi svolte in tutto il mondo. 

La capacità di elusione ed evasione del fisco diviene esponenzialmente più grande quando si arriva alle grandi multinazionali della rete e della tecnologia, come Apple, Facebook e Google. Secondo uno studio del Parlamento Europeo, queste società non versare al fisco europeo circa 70 miliardi di euro. Secondo Commissione Europea queste grandi società pagano sui profitti che generano in Europa un’imposta del 9,5 per cento, contro una media del 23,3 per cento pagata dalle altre società.

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