Il 30% delle famiglie italiane non è raggiunto dalla fibra ottica “vera”, ossia quella in modalità Ftth (Fiber to the home), che porta i cavi all’interno delle abitazioni. E diversamente da quanto si pensi è all’interno delle città che ci sono i maggiori “buchi” di rete.

È quanto emerge dalla Relazione annuale dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) presentata oggi in Parlamento. In dettaglio quasi il 13% delle famiglie non raggiunte dalla fibra si trova nelle città, «dove più operatori avevano dichiarato l’intenzione di intervenire, pur non avendo poi concretizzato gli investimenti», si legge nella Relazione. E la situazione si replica nelle cosiddette aree grigie (quelle a mezza via fra le città e le aree rurali) dove oltre l’11% delle famiglie non è raggiunto dalla connettività ultraveloce. Solo il restante 5% delle famiglie a secco di Ftth si trova nelle zone più periferiche (le aree bianche). Vero è che le aree bianche sono state protagoniste del primo Piano banda ultralarga (Bul) in capo a Open Fiber (che però deve ancora completarsi).

Nelle aree grigie sono disponibili i fondi Pnrr, quelli per il Piano Italia a 1 Giga ma si sta procedendo al ralenti, come ha evidenziato il presidente di Agcom, Giacomo Lasorella. Talmente al ralenti che si rischia di perdere i fondi dell’Europa: ci sono in ballo 3,4 miliardi ma al momento, da quanto risulta dalle rilevazioni del sito Connetti Italia, meno del 55% dei civici sono “connessi” e manca meno di un anno alla deadline del Pnrr, il 30 giugno 2026. Il rischio è di perdere in parte o in toto (nell’ipotesi peggiore) i fondi e l’accordo che si doveva fare fra FiberCop e Open Fiber, caldeggiato dal Dipartimento per la Trasformazione digitale, si è impantanato.

Se è vero che nel 2024 sono sensibilmente aumentati gli investimenti in infrastrutture di rete, in particolare quelli nelle reti fisse, al punto da registrare un +8,7% rispetto al 2023 superando la soglia dei 7 miliardi, è altrettanto vero che c’è ancora da fare. Peraltro emergono sensibili differenze nelle regioni: le più “cablate” sono Molise, Trentino-Alto Adige e Sicilia, con una copertura rispettivamente dell’85%, dell’83% e dell’81% delle famiglie. Nella parte bassa della classifica Calabria e Sardegna, con livelli di copertura pari rispettivamente al 61% e al 59%.

«Assetto del mercato mutato radicalmente»

Il mercato delle reti è stato inoltre caratterizzato da alcuni eventi significativi a partire dalla vendita della rete Tim confluita nella “nuova” FiberCop (i cui azionisti principali sono il fondo americano Kkr con il 37,8% e il ministero dell’Economia con il 16%), poi l’acquisizione di Vodafone da parte di Fastweb e ultimo in ordine temporale il riassetto di Tim di cui Poste è diventato il primo azionista con il 24,81% delle azioni ordinarie e il 17,81% del capitale complessivo. «L’insieme di queste operazioni, a partire, ovviamente, da quella della separazione della rete, ha radicalmente mutato l’assetto del mercato, in particolare quello all’ingrosso, inducendo Agcom ad avviare una nuova analisi dei mercati di accesso alla rete fissa», ha puntualizzato Lasorella.

E queste dinamiche societarie «si inseriscono in un contesto caratterizzato dalla persistente crescita dei consumi – si legge nella relazione – in particolare del traffico dati, da una costante riduzione dei prezzi dei dispositivi per la telefonia mobile e da un incremento, nell’ultimo anno, dei prezzi dei servizi di rete fissa dovuto in parte alle pratiche di indicizzazione delle tariffe messe in atto da alcuni operatori».

Anche sul fronte del mobile si evidenzia un paradosso: mentre da un lato si dice che è necessario il consolidamento (in Italia siamo scesi a quattro operatori per effetto della fusione Fastweb-Vodafone, gli altri tre sono Tim, WindTre e Iliad) dall’altro stanno proliferando i cosiddetti operatori mobili virtuali con una guerra dei prezzi che si sta facendo sempre più aspra, tant’è che si stanno ulteriormente contraendo i ricavi degli operatori. Nel 2024 il fatturato retail da rete mobile è diminuito di un ulteriore 2,3% rispetto all’anno precedente, attestandosi su un valore di circa 9,7 miliardi di euro, l’11,1% in meno rispetto ai 10,9 miliardi del 2020.

Non solo fibra

Nella relazione Agcom riflettori puntati anche sulle big tech: i ricavi pubblicitari delle piattaforme online sono aumentati di circa il 250% in sette anni, passando da quasi 2 miliardi nel 2016 a circa 7 miliardi di euro nel 2023. «Ciò sta determinando una modifica degli assetti del mercato, con una crescita, nel Sistema integrato delle comunicazioni (Sic), del peso di attori come Alphabet/ Google, Meta/Facebook, Amazon e Netflix, accanto agli attori tradizionali quali Rai, Comcast Sky, Fininvest, Discovery e Cairo Communication – evidenzia Lasorella -. Non solo: questi dati, relativi alle diverse fonti di informazione, costituiscono un importante elemento di riflessione in relazione alla configurazione stessa del nostro dibattito pubblico, e, in definitiva, in relazione alla tenuta della nostra democrazia».

Oltre un italiano su due (il 52,4%) utilizza inoltre Internet per informarsi attraverso motori di ricerca, social media e siti web di quotidiani e periodici. Mentre è passato in secondo piano il ruolo della televisione utilizzata dal 46,5% della popolazione adulta quando nel 2019 il dato si attestava al 67,4%. A tal proposito Agcom auspica in tema di par condicio «un intervento legislativo per estendere espressamente la disciplina del silenzio elettorale anche alle piattaforme digitali».

Da segnalare il “caso” della radio digitale ossia dell’uso dello standard Dab+: l’Autorità ha segnalato al governo che a causa di un vulnus normativo l’autoradio potrebbe addirittura scomparire dai veicoli: «Chiediamo di eliminare ogni possibile ostacolo allo sviluppo del mercato dei servizi digitali Dab+ e di garantire che su tutte le autovetture siano veicolate tutte le frequenze radio».

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