Il disegno di legge (Ddl) Capitali intende «rimuovere i vincoli all’accesso al mercato da parte delle imprese; canalizzare il risparmio verso le imprese, assicurando la tutela degli investitori».

Un obiettivo condivisibile quanto ambizioso perché il problema di coniugare l’interesse di chi controlla le imprese con quello degli investitori è vecchio quanto le società per azioni, specie in un paese dal mercato dei capitali notoriamente asfittico, come l’Italia.

Il maggior risalto mediatico però l’hanno avuto i possibili emendamenti che potrebbero avvantaggiare Francesco Gaetano Caltagirone nella contesa per il controllo di Generali e Mediobanca.

Anche perché, delle 38 audizioni che la Commissione del Senato ha ritenuto di acquisire, tra gli imprenditori è stato invitato il solo Caltagirone. Il quale, per storia personale, non è certo un paladino credibile della migliore corporate governance. Mi auguro un errore di etichetta: interventi normativi che cambiano le regole del gioco favorendo, anche solo indirettamente, un interesse privato getterebbero solo discredito sul nostro mercato.

Passi avanti

Molti gli articoli condivisibili: l’aumento a un miliardo di capitalizzazione per la definizione di Pmi, con adempimenti alleggeriti sia per la soglia dell’opa che per la comunicazione delle partecipazioni (art, 2); criteri internazionali per i bilanci (art.5); eliminazione dell’obbligo di flottante minimo (art.6); aumento dei limiti per gli strumenti di debito verso investitori professionali, esonerati dalla successiva responsabilità della solvenza dell’emittente (art.7); semplificazione dell’ammissione alla quotazione (art.9); riduzione dei tempi di approvazione del prospetto e decadenza della responsabilità del collocatore (art.10); abrogazione dell’obbligo di segnalazione di operazioni per chi detiene almeno il 10 per cento (art.11); estensione della qualifica di controparte qualificata agli enti Previdenziali (art.14); semplificazione della gestione di Sicav/Sicaf (art.15); voto in più assemblee per i gestori (art.16); risarcimento danni contro l’Autorità (art.17); e aumento dei poteri della Consob (art.19 e 20). Si sarebbe dovuto anche accorciare i tempi per il diritto di recesso dei soci e di opposizione dei creditori a fusioni e riduzioni del capitale.

Utile per la crescita delle società quotate è l’art.8, che permette aumenti di capitale fino al 20 per cento con esclusione del diritto di opzione e quorum agevolati; non si capisce però perché valido solo per 2 anni, un limite temporale che andrebbe eliminato. E manca l’esenzione all’Opa per le aggregazioni tramite conferimenti (come nel caso Luxottica-Essilor) se si supera la soglia obbligatoria; esenzione ora prevista solo nei casi di fusione.

Quello che non va

Criticabili sono l’art.1 che facilita il collocamento diretto di azioni fuori mercato da parte della società, potenziale fonte di abusi; e l’art.12 che rende permanenti le assemblee societarie con il rappresentante designato (veicola il voto telematico degli investitori), di fatto abolendo la partecipazione fisica alle assemblee: va bene eliminare la pratica dei disturbatori, ma l’assemblea deve rimanere anche il luogo in cui gli investitori istituzionali possono anche sollevare questioni di respiro strategico. E non si sente il bisogno di rafforzare il Patrimonio Destinato (art.22), altri soldi per interventi pubblici nelle imprese, oltre ad essere un ossimoro nel DDL sul mercato privato dei capitali.

Gli artt. 4 sugli emittenti degli « strumenti finanziari diffusi » e 13 sul voto plurimo, meritano un commento più esteso. Il Ddl riscrive la disciplina degli « strumenti diffusi » che nella pratica riguarda i titoli scambiati sulle piattaforme Mtf (Multilateral Trading Facility), da noi il principale è l’Euronext Growth (già Aim e Mac) per le azioni delle Pmi. Gli Mtf hanno una regolamentazione, trasparenza e obblighi alleggeriti rispetto ai mercati regolamentati. Senza entrare in dettagli, l’art. 4 li alleggerisce ulteriormente e ne elimina alcuni.

Titoli illiquidi

Lo scopo è facilitare la crescita delle Pmi, permettendo loro di fare un primo passo nella raccolta di capitali senza avere l’organizzazione, le risorse, le professionalità e la struttura finanziaria necessarie per la quotazione in un mercato regolamentato; ma dando loro il tempo per predisporsi a questo passaggio successivo.

È quindi una via intermedia tra l’ingresso del private equity e una quotazione vera e propria: dovrebbe essere una fase di rafforzamento della struttura finanziaria, organizzazione e governance, ma anche un passaggio cruciale di price discovery che fornisce alle società indicazioni, per quanto approssimative, del valore delle proprie attività.

L’altra faccia della medaglia è che i titoli Mtf sono illiquidi, con scambi risibili, tanto che spesso bastano ordini da migliaia di euro per muovere le quotazioni in modo sensibile, lasciando ampi spazi per potenziali manipolazioni e abusi.

Pro e contro impossibili da coniugare, ma che potrebbero essere attenuati limitando l’accesso agli Mtf dei piccoli risparmiatori, che non servono alla price discovery; richiedendo un maggior coinvolgimento degli investitori istituzionali e del private equity specie in sede di collocamento; facilitando le Opa; e, in quanto passo intermedio, richiedendo un limite massimo di permanenza negli Mtf. Ma di questo nel Ddl non c’è traccia.

Voto plurimo: pro e contro

L’art. 13 aumenta da 3 a 10 il numero di voti per le azioni a voto plurimo, purché la società non sia quotata, ma con diritto di mantenerlo in caso di successiva quotazione, perché gli investitori ne avrebbero contezza.

Dopo la quotazione però diventerebbe un iniquo trasferimento di valore a vantaggio del controllante. La ratio è favorire la quotazione di un imprenditore che vuole mantenere il controllo sulla gestione dell’impresa che ha fondato con i capitali di altri soci, tipico del settore tecnologico.

Il principio è sacrosanto, ma la concorrenza dell’Olanda, e le alternative peggiori come i patti di sindacato, suggeriscono di considerare l’adozione del voto plurimo nel caso specifico di società italiane, già controllate da un unico azionista, purché mantengano la quotazione e la sede fiscale in Italia.

C’è infatti il rischio che queste società spostino la sede legale in Olanda al solo scopo di non perdere il controllo in caso di future acquisizioni (i recenti casi di Brembo e Campari).

Fermo restando che un imprenditore che crea valore con acquisizioni non dovrebbe preoccuparsi di perdere il controllo, e che il voto plurimo è una poison pill, la libertà di stabilimento garantita dall’Europa non lascia molte alternative. Tanto vale, allora, permettere il voto plurimo nei casi prima indicati, tutelando però gli investitori con il diritto di recesso, l’approvazione assembleare a maggioranza qualificata o con l’esclusione dal voto del socio di controllo. Il voto plurimo dovrebbe poi decadere in caso di cessione del controllo per evitare la segmentazione del mercato.

Iniquo vantaggio

Non condivisibili invece le proposte di aumentare il voto maggiorato, che oggi permette di raddoppiare il voto per chi detiene un titolo da più di 24 mesi, già adottato negli statuti di ben 71 società quotate.

È solo un iniquo vantaggio per i vecchi soci, che congela la struttura proprietaria, disincentiva i nuovi investitori, e quindi anche la crescita per acquisizioni. Il Ddl non si occupa di consigli di amministrazione, ribadendo così la libertà statutaria che permette al consiglio uscente di presentare una propria lista.

Libertà che va preservata perché comunque la lista deve essere approvata dalla maggioranza dei soci, come è avvenuto nei recenti casi di Mediobanca e Generali, oggetto delle critiche di Caltagirone, che pertanto sono prive di fondamento.

A monte, però, è bene ricordare che non sono le norme a creare i mercati, ma la voglia degli imprenditori di investire e competere, la propensione al rischio degli investitori, l’efficienza della pubblicazione amministrazione, del fisco e del sistema giudiziario, l’attrattività del paese per i capitali esteri e il clima favorevole alle imprese. Bene dunque la norma, ma meglio non farsi troppe illusioni.

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