Gli statali ricevono il Tfs, trattamento di fine servizio, con tempi e modalità che, a detta dei sindacati, comportano una perdita economica fino a 41mila euro per ciascun lavoratore. La Consulta si è espressa già due volte, ritenendo illegittimi i trattenimenti. Giace in Parlamento una proposta di legge, che pare lettera morta
«È un furto di Stato», non usa mezzi termini Ezio Cigna della Cgil. I derubati in questione sono i lavoratori pubblici che, a causa dei ritardi mostruosi per ottenere il loro trattamento di fine servizio, hanno regalato allo Stato 2,1 miliardi di euro in soli due anni (2022 e 2023), vale a dire una perdita individuale compresa tra 17.958 e 41.290 euro per lavoratore, a seconda della retribuzione. Colpa dell'effetto combinato dei ritardi e dell'inflazione. «Questa situazione – ha commentato Cigna – rappresenta un vero e proprio furto per chi, dopo una vita di lavoro, è costretto a subire una discriminazione rispetto ai lavoratori del settore privato».
La denuncia
Lunedì sette sigle sindacali – Cgil, Uil, Cgs, Cse, Cosmed, Cida e Cordirp (vistosa l’assenza della Cisl) – si sono riunite per discutere i ritardi nell'erogazione del trattamento di fine servizio (Tfs) e del trattamento di fine rapporto (Tfr) per i dipendenti pubblici.
Il Tfs è destinato ai dipendenti pubblici assunti a tempo indeterminato prima del 1° gennaio 2001. Si calcola prendendo l'80 per cento di un dodicesimo dell'ultima retribuzione annua lorda, moltiplicato per gli anni di servizio. I tempi di erogazione sono variabili. Ad esempio, in caso di pensionamento per raggiunti limiti di età, il pagamento avviene dopo 12 mesi dalla cessazione; per altre cause, può richiedere fino a 24 mesi.
Il Tfr, invece, riguarda tutti i lavoratori del settore privato e i dipendenti pubblici assunti a tempo indeterminato dopo il 31 dicembre 2000. Ogni anno, il datore di lavoro accantona una quota pari al 6,91 per cento della retribuzione annua del dipendente; questa somma viene poi rivalutata annualmente in base a un tasso fisso dell'1,5 per cento più il 75 per cento dell'aumento dell'indice dei prezzi al consumo accertato dall'Istat. Nel settore privato, il Tfr viene generalmente corrisposto al dipendente entro 45 giorni dalla conclusione del rapporto di lavoro, salvo diversi accordi tra le parti.
Durante il convegno, Enzo Cigna, responsabile politiche previdenziali della Cgil, ha sottolineato che il differimento nel pagamento del Tsf / Tfr ha causato perdite economiche significative per i dipendenti pubblici.
La perdita
Un'indagine di Cgil ha stimato che, per gli anni 2022 e 2023, il ritardo nei pagamenti ha comportato una riduzione complessiva di 2 miliardi e 157 milioni di euro, con perdite individuali tra 17.958 e 41.290 euro per lavoratore, a seconda della retribuzione. L'effetto combinato dei ritardi e dell'inflazione ha eroso il potere d'acquisto: un dipendente con un Tfr medio di 82.400 euro ha subito una perdita di 11.735 euro, pari al 14,2 per cento del valore. «Questa situazione – ha commentato Cigna – rappresenta un vero e proprio furto per chi, dopo una vita di lavoro, è costretto a subire una discriminazione rispetto ai lavoratori del settore privato».
I motivi
I sindacati attribuiscono questi ritardi a norme penalizzanti e alla lentezza burocratica. Gli enti pubblici spesso non trasmettono tempestivamente le richieste di pagamento, e la carenza di personale all'Inps rallenta ulteriormente il processo di liquidazione.
L’aumento dell’età pensionabile a 67 anni, previsto dalla Legge di Bilancio 2025, causerà ulteriori ritardi nel pagamento del Tfs / Tfr. Anche se nel 2025 non ci saranno impatti immediati, dal 2026 inizieranno a emergere risparmi per lo Stato stimati in 339 milioni di euro nel periodo 2025-2034, a danno di 76.300 lavoratori.
Sulla questione è intervenuta anche la Corte costituzionale. Due volte. La prima nel 2019 e la seconda nel 2023, in entrambi i casi la Consulta ha dichiarato illegittimi questi ritardi sottolineando che rappresentano una violazione dei diritti dei lavoratori.
Delle soluzioni ci sarebbero, almeno sulla carta. In parlamento sono depositate due proposte di legge che devono essere discusse e votate, una porta la prima firma di Roberto Bagnasco di Forza Italia, l’altra di Alfonso Colucci parlamentare del Movimento 5 stelle.
Colucci, durante il convegno, ha ricordato i tre pilastri della sua proposta: «Accorciamento dei tempi di pagamento, aumento delle soglie di rateizzazione e criteri di rivalutazione». «È necessario evitare un approccio ideologico», ha continuato Colucci, «tutte le forze politiche si devono mettere di concerto per trovare una soluzione. Ciò deve avvenire prima che la Corte Costituzionale si pronunci ed emetta sentenza; qualora accadesse, bisognerebbe pagare tutto e subito, e incontreremmo un duplice problema».
Dal canto loro i sindacati, uniti, chiedono al governo di aprire uno spazio per la discussione «qualcosa che adesso manca – commenta Cigna – manca un soggetto dall’altra parte disposto al dialogo. L’ultima volta che li abbiamo incontrati è stato a settembre 2023».
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