Negli uffici di New York della Morgan Stanley Capital investments, tra le quattro società di riferimento a livello globale per l’elaborazione degli indici dei mercati finanziari, si valuta l’ipotesi di rimuovere l’indice della Borsa di Mosca dalla mappa finanziaria del mondo.

La notizia raccolta dall’agenzia Reuters nel pomeriggio di ieri, poco dopo che la Banca centrale russa ha annunciato la chiusura della Borsa dal primo al 5 marzo, spiega il senso delle sanzioni occidentali: una rescissione immediata dei legami della Russia con la rete mondiale dei flussi finanziari, con lo scopo di metterne in ginocchio l’economia, depennarla, cancellarla dagli scambi, la versione finanziaria di una guerra lampo, la stessa fallita da Vladimir Putin in Ucraina. Moody’s per dire, ha già ritirato il rating di Vtb, la seconda banca russa controllata del Cremlino.

Emergenza banca centrale

Putin ha ammesso che le sanzioni sono dure. La governatrice della Banca centrale russa, Elvira Nabiullina, che «le condizioni dell’economia russa sono cambiate drasticamente». Il valore del rublo è sprofondato, nonostante la banca centrale abbia alla vigilia ordinato di bloccare le vendite di titoli russi agli investitori stranieri e si sia trovata a prendere la scelta estrema di aumentare i tassi di interesse fino a oltre il 20 per cento.

The Russian Central Bank presented new 200 ruble banknotes featuring motives of the annexed Crimea peninsula in Moscow, Russia, 12 October 2017. Photo by: Emile Ducke/picture-alliance/dpa/AP Images

Il primo gruppo bancario russo, Sberbank, la sera di domenica ha ricevuto la comunicazione da parte della Banca centrale europea che Sberbank Europe Ag e le sue controllate sono sulla via del fallimento e in poche ore ha perso più di due terzi del suo valore alla Borsa di Londra. La governatrice russa ha detto che il settore bancario è in deficit di liquidità strutturale: non ci sono più i soldi e quelli che ci sono valgono sempre meno. «Probabilmente», ha spiegato, le carte di pagamento internazionali riusciranno a funzionare anche quando entrerà in vigore il blocco, al momento ancora selettivo, di alcune banche russe dal sistema di comunicazione Swift. Putin ha intrappolato i capitali dei suoi concittadini, proibendo trasferimenti all’estero. Ma non può fermare l’onda contraria: Shell ha annunciato l’uscita dalle partnership con Gazprom.

La guerra finanziaria scatenata contro lo stato russo è stata per una volta crudele ed efficace, ha mostrato la potenza del coordinamento del G7, spinto a fratture con la storia. Nemmeno la Svizzera, che detiene quasi un terzo dei capitali dei cittadini russi all’estero, ha resistito al pressing. Proprio nel giorno in cui il ministro degli Esteri Sergey Lavrov era atteso a Ginevra, ha annunciato con una svolta storica l’adesione «integrale» alle misure Ue – in realtà ai primi due pacchetti – costringendo Lavrov a cancellare all’ultimo la visita. La Gran Bretagna ha deciso di mettere fine all’anonimato del suo mercato immobiliare, in cui gli oligarchi russi hanno sempre sguazzato. In pochi giorni, sono state prese decisioni, chieste dalle organizzazioni non governative anti corruzione per anni e a cui i leader erano sempre stati sordi.

Capitalisti di stato

Non è ancora possibile, però, dire quanto l’offensiva economica scatenata per fermare Putin colpirà gli oligarchi, l’élite vicina a Putin, sul cui distanziamento dal presidente russo è in corso una grande scommessa, e quanto invece batterà duro sui russi comuni. Ieri mentre il governo di Parigi annunciava di essere pronto a presentare la lista di immobili, yacht e auto di lusso da sequestrare, il re dell’alluminio Oleg Deripaska ha detto che l’era del capitalismo di stato in Russia, a cui deve la sua fortuna, deve finire: il primo disertore dell’oligarchia. Roman Abramovich, patron del Chelsea, più disperato che serio, si è autocandidato a mediatore.

La rescissione dei legami finanziari, intanto, ha trascinato in rosso le banche e tutte le aziende che subiscono l’amputazione: a Milano Unicredit ha perso il 9 per cento, assieme a Intesa (-7) e Pirelli (-4). Si sono impennate, invece, le quotazioni delle industrie di armamenti di tutti i paesi europei: la capitalizzazione di Fincantieri è cresciuta di un quinto, quella di Leonardo del 15 per cento, la svolta storica della Germania sugli investimenti in armi ha fatto schizzare la quotazione della Reinmetall a più 25 per cento.

Ci sono però altri rialzi da temere: i prezzi di gas e petrolio, ma ancor di più di grano e cereali. Ucraina e Russia insieme producono quasi un terzo del grano esportato nel pianeta, dall’Egitto alla Turchia allo Yemen, un quarto del mondo dipende da loro: la guerra economica può avere conseguenze che vanno ben oltre la nostra “nuova Europa”.

 

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