«Gettare il cuore oltre l’ostacolo» è l’immagine scelta da Roberto Benaglia, segretario confederale della Fim-Cisl, per commentare la richiesta-shock della Ig Metall di ridurre la settimana lavorativa a quattro giorni nel settore siderurgico della Germania nord-occidentale.

Il potente sindacato tedesco dei metalmeccanici ha presentato ieri la sua piattaforma per il rinnovo dei contratti di lavoro che scadono il 30 novembre e che riguardano circa 68 mila persone impegnate nell’industria dell’acciaio: oltre alla settimana corta, con la riduzione dell’orario settimanale da 35 a 32 ore a parità di stipendio, l’Ig Metall chiede anche un aumento dei salari dell’8,5 per cento.

Secondo il sindacato introdurre la settimana lavorativa di quattro giorni sarebbe vincente per tutti: Knut Giesler, direttore distrettuale dell'Ig Metall nel Nord Reno-Westfalia, sostiene infatti che il taglio dell’orario ridurrebbe lo stress, e di conseguenza abbasserebbe il numero di casi di malattia, e garantirebbe una maggiore produttività dei dipendenti. Inoltre i lavoratori si sposterebbero di meno e questo avrebbe un beneficio sulle emissioni di Co2.

«Sappiamo da molte ricerche e conversazioni che una buona compatibilità tra lavoro e vita privata è di grande importanza, soprattutto per i giovani», ha aggiunto Giesler. Il dirigente sindacale si basa su un sondaggio condotto tra i lavoratori dell'acciaio: il 58 per cento ha definito la riduzione dell'orario di lavoro come «importante», un altro 17 per cento come «piuttosto importante». Inoltre, l'industria siderurgica si sta spostando verso una diminuzione della domanda di personale con la sua conversione verso la neutralità climatica, dice il sindacato.

La reazione degli industriali per ora è negativa. L'associazione Stahl spiega che una riduzione dell'orario di lavoro con una piena compensazione salariale significherebbe da sola un aumento dell'8,6 per cento dei salari orari. Se poi si aggiungesse l'8,5 per cento richiesto da Ig Metall, l’incremento effettivo delle retribuzioni sarebbe pari al 17,1 per cento. L’industria siderurgica tedesca verrebbe distrutta dalla concorrenza, avvertono le imprese.

L’associazione Stahl sottolinea poi che la trasformazione verso l'acciaio verde richiede ancora più personale, perché nella fase di transizione, oltre al funzionamento di altiforni e cokerie, sarà necessaria la costruzione di nuovi impianti di produzione. Questo aggraverebbe ulteriormente la situazione del personale, già tesa nelle aziende. Non solo. Michael Hüther, direttore dell'Istituto di ricerca Idw, vicino agli imprenditori, ribatte che invece di ridurre l'orario di lavoro, sarebbe necessario portarlo a 42 ore settimanali. «Questo è l'unico modo per evitare perdite di ricchezza e un sovraccarico del sistema pensionistico» ha detto al quotidiano Die Welt.

Anche se per ora la richiesta della Ig Metall è limitata al settore siderurgico, tutta l’industria tedesca guarda con attenzione alla trattativa nell’acciaio. Il leader del sindacato dei metalmeccanici, Jörg Hofmann, auspica infatti che «la settimana di quattro giorni sia il modello di lavoro del futuro». E ricorda la grande battaglia per la settimana lavorativa di 35 ore condotta vittoriosamente quarant'anni fa. Se si rompesse il muro delle 32 ore (tutto sommato simbolico, si tratterebbe di tre ore di lavoro in meno), la rivoluzione della settimana di quattro giorni lavorativi dilagherebbe per l’intera Europa.

«Indubbiamente, le nuove tecnologie e la transizione da un mercato del tempo di lavoro a un mercato delle professionalità possono consentire di assegnare maggior peso alla misurazione dei risultati rispetto all'orario di lavoro» commenta Michele Tiraboschi, professore ordinario di Diritto del Lavoro. «Pertanto, lato imprese, è certamente ipotizzabile una diminuzione dell'orario di lavoro a pari retribuzione se si pongono le condizioni per incrementi di produttività ed efficienza organizzativa. È qui che si giocherà lo scambio negoziale e questo vale non solo per la Germania ma anche per l'Italia. Vero anche che, proprio l'esperienza un chiaroscuro dello smart working, sta a segnalare come oggi in Italia siamo ancora indietro rispetto a questo scenario evolutivo delle relazioni industriali».

Ma qualcosa si muove anche da noi: «Stiamo affrontando il tema della settimana corta in alcuni settori dove c’è molto cambiamento tecnologico» annuncia Benaglia della Fim-Cisl. «Pensiamo per esempio al comparto dell’auto dove l’avvento dell’elettrificazione richiederà meno lavoro. Siamo convinti che liberare tempo sia utile per permettere alle persone di conciliare vita lavorativa e famiglia ma anche di fare più formazione».

Intanto in vari Paesi è già stata avviata la sperimentazione: nel Regno Unito tra giugno e dicembre dell’anno scorso 61 imprese con quasi tremila dipendenti hanno sperimentato la Four Days Week: 38 hanno esteso la sperimentazione della “settimana corta” e 18 hanno deciso di adottarla per sempre. La Spagna ha avviato un test triennale, nell’autunno del 2021, con l’obiettivo di ridurre a 32 ore su quattro giorni la settimana lavorativa. Il Belgio invece ha dato la possibilità di concentrarle l’orario, senza ridurlo, su quattro giorni, previo accordo tra datore di lavoro e dipendente.

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