Il testo della riforma del Meccanismo europeo di stabilità uscito dalla riunione dell’utimo Eurogruppo è esattamente uguale a quello che vi è entrato. Insomma, mentre a Roma il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, è stato additato dal leghista Claudio Borghi come l’uomo che avrebbe avuto le responsabilità penali dell’approvazione del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), mentre il governo ha dichiarato di aver ottenuto quello che voleva, a Bruxelles non è successo quasi nulla. Anche perché le tappe fondamentali della riforma sono state il voto dell’Eurogruppo e del Consiglio europeo del 2019.

Per capire cosa è il Mes bisogna tornare indietro: il Fondo salva stati è nato durante la crisi del debito, nell’autunno del 2012, come un fondo intergovernativo capace di prestare liquidità agli stati che non riescono più a finanziarsi sui mercati. Come spesso accade nella storia delle istituzioni finanziarie le caratteristiche del Mes sono legate alle scelte e al consenso di allora, ma anche all’architettura dell’Eurozona: un insieme di stati e debiti nazionali separati all’interno di una stessa area monetaria che, almeno fino alla nascita di Next Generation Eu, non è stata una unione di debito.

I 14 miliardi italiani

Il capitale a disposizione del Mes è in proporzione alla taglia delle economie dell’Eurozona: sulla carta il fondo attuale ha una potenza di 705 miliardi di euro, per avere una proporzione è più o meno il doppio di quelli spesi per la Grecia. Concretamente ne sono stati versati 80. La Germania ha versato 21,7 miliardi di euro, la Francia 16,2, l’Italia 14,3 e così via fino ai 72 milioni di Malta. Il fondo è nato con l’idea di erogare prestiti potendosi finanziare sui mercati a dei tassi molto bassi, sfruttando il rating a tripla A dell’Area euro e ripagando poi gli interessi. Il meccanismo è più vantaggioso per i paesi della periferia quando lo spread è alto, ma in ogni caso per gli stati che non hanno un rating massimo si traduce in un risparmio per le casse pubbliche.

La riforma attuale del Fondo è stata proposta dalla commissione europea alla fine del 2017 nel tentativo di slegare l’Eurozona dal Fondo monetario internazionale e di dotarla di un meccanismo di salvataggio autonomo. Allora l’idea era affiancata alla proposta, sostenuta soprattutto dalla Francia di Emmanuel Macron, di creare un bilancio europeo, in una logica di compromesso tipica della maggioranza delle trattative europee o, come dice oggi il Movimento 5 stelle, in una logica “a pacchetto”. Gli stati ci hanno messo un anno prima di iniziare a discuterne, ma tra la fine del 2018 e l’estate del 2019, quando il governo era il Conte I, sono state prese tutte le decisioni più importanti sul funzionamento del Fondo.

L’attuale riforma prevede che nel board del Mes siedano i ministri delle Finanze della zona euro e che il fondo offra due diverse linee di credito: una precauzionale, dedicata a quei paesi che hanno bisogno di liquidità ma che rispettano certe condizioni (la prima il tetto del debito al 60 per cento del Pil, come da patto di stabilità). Al contrario dei salvataggi modello Grecia non prevede un memorandum di condizioni macroeconomiche da rispettare come tagli della spesa pubblica o obiettivi finanziari. Una seconda linea che è chiamata “condizionata rafforzata” è aperta a tutti, previa verifica sulla sostenibilità del debito, e prevede invece le condizionalità. Con la pandemia, i commissari Valdis Dombrovskis e Paolo Gentiloni hanno annunciato in una lettera una linea di prestiti ad hoc dedicata solo alle spese sanitarie, e condizionata all’impegno «di usare i fondi per le spese di cura e prevenzione, dirette o indirette dovute al Covid». Per questa linea è limitata anche la sorveglianza della Commissione europea.

In generale la riforma ha introdotto anche la possibilità di cambiare i termini dei prestiti contratti da uno stato con gli investitori privati tramite l’accordo della maggioranza semplice dei creditori attraverso l’introduzione di clausole di azione collettiva (Cac) a maggioranza unica: la decisione è stata approvata dall’Eurogruppo a fine 2019. Un modo per semplificare il taglio del debito in una crisi, quando il tempo con cui si prendono le decisioni è fondamentale.

Fondo salva banche

Il Mes ha però anche un’altra funzione ed è per l’Italia forse la più importante: è un fondo salva banche. Prevede l’entrata in vigore, prima fissato al 2024 ora anche su richiesta dell’Italia al 2022, di quello che in Europa si chiama backstop: una sorta di garanzia al fondo di risoluzione unico bancario. Cosa significa?

Il Fondo di risoluzione unico bancario è un fondo istituito dal primo gennaio 2016 per salvare le banche in crisi, dopo aver fatto pagare azionisti e obbligazionisti. Il Fondo dovrebbe avere un capitale di 55 miliardi di euro basato su prestiti degli stati, ma le provviste saranno stanziate nell’arco di otto anni. Questo significa che avrà piena dotazione solo nel 2024. Il Mes metterebbe a disposizione delle banche altri 55 miliardi di euro a partire dal 2022. Il salvagente per le banche è quello su cui Gualtieri ha insistito maggiormente durante il suo intervento in parlamento di una settimana fa. Dopo la pandemia non solo tutti gli stati avranno livelli di debito superiori al 60 per cento del Pil – scenario che mostra uno dei limiti del Mes – ma il debito si riverserà in primis sul credito.

In Europa nessun paese ha per ora fatto ricorso al Mes sanitario, in nessuno però c’è in corso un dibattito come quello che c’è in Italia, dove non si separano vantaggi e svantaggi, dove si invocano conseguenze apocalittiche e soprattutto si usa la riforma come feticcio per la lotta parlamentare.

Questo dibattito è figlio di un frutto avvelenato e tutto politico: la maggioranza gialloverde nel marzo 2019 ha votato a favore della linea del suo governo, ma con una premessa che contraddiceva chiaramente quel voto, e ha chiesto esplicitamente di attendere le elezioni europee. All’epoca Francesco Boccia aveva previsto: «La maggioranza smentirà nei fatti tale parere favorevole subito dopo la sua approvazione». Così è successo. E dopo oltre un anno siamo ancora a pagarne gli effetti.

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