Diceva Napoleone che c'est l'argent qui fait la guerre, cioè non valgono ideali né eroismi se poi non ci sono i soldi per sostenerli. In Val di Susa e in Piemonte, in quella che molti giornali e tv hanno descritto come una guerra pro o contro la linea ad alta velocità Torino-Lione, una delle due parti ha avuto l'argent.

È la parte dei sì Tav, i quali dopo essere parsi evanescenti e silenti per anni di fronte a quelle che consideravano le intemperanze anti progressiste dei manifestanti contrari alla grande opera, tre anni fa abbandonarono la sponda improduttiva del mugugno per mettere le vele al vento della protesta di piazza. Nacque allora la saga dei sì Tav, guidati da sette signore piemontesi che trascurando le loro professioni, per una breve stagione si buttarono a corpo morto a difesa della grande opera minacciata e con una specie di sostegno plebiscitario dei grandi giornali nazionali diventarono eroine di piazza. Furono chiamate le «madamine della collina», cioè della parte bene di Torino, per connotarle come signore della buona società sabauda che con garbo e stile davano finalmente voce a ciò che la maggioranza silenziosa pensava da tempo e covava nel petto senza aver mai osato esprimerlo. E cioè che la Tav andava fatta e subito, senza se e senza ma.

Libro paga

Ora si scopre che l'impegno delle madamine per la causa pro Tav probabilmente sarà stato anche genuino e spontaneo, voce del popolo piemontese improvvisamente risveglio, ma di fatto era sostenuto dai soldi. Non i soldi dei simpatizzanti e dei sostenitori, però, piuttosto quelli di una delle parti in causa, la società Telt, che così come descrive Wikipedia è un'azienda «di proprietà al 50 per cento dello Stato francese e al 50 per cento delle Ferrovie dello Stato italiane». Ha sede a Le Bourget du Lac nel dipartimento della Savoia e ha lo scopo di «progettare, realizzare e successivamente gestire la sezione transfrontaliera della futura linea ferroviaria Torino-Lione». Alcuni mesi prima delle manifestazioni dei Sì Tav in piazza Castello a Torino, la Telt affidò per 90 mila euro un incarico di consulenza a una delle madamine torinesi, Simonetta Carbone, presentata dal giornale torinese La Stampa come una professionista «da anni impegnata a Torino in un'agenzia di comunicazione specializzata nelle media relations», che è un modo fino per dire ufficio stampa.

Chi fa il giornalista sa bene che compito hanno nel bene e nel male gli uffici stampa: informano, aiutano i colleghi giornalisti a approfondire i temi, fanno da tramite tra i loro datori di lavoro, imprese, politici, istituzioni etc... e l'informazione che avrebbe l'ambizione di essere libera. Per definizione e per contratto gli uffici stampa fanno sempre e comunque gli interessi di chi li paga. La regola, presumibilmente, è valsa anche per la madamina pagata dalla Telt il cui contratto è stato pubblicato nel sito dell'Anac, l'autorità anti corruzione, e definito in francese «prestation de revue de presse», cioè di rassegna stampa. Forse sarà senz'altro una coincidenza, ma a valle di quel contratto, nelle settimane e mesi successivi il movimento Sì Tav che fino a quel momento non aveva espresso neanche un vagito diventò una sinfonia: pezzi con varie intonazioni sui giornali, interviste, ospitate in tv e via lievitando. Le madamine diventarono personaggi contesi e ancor prima che la manifestazione di Torino si svolgesse, con un notevole successo di pubblico, per la verità, il movimento Sì Tav era passato dall'irrilevanza all'iper presenza.

«Madamine eterodirette»

E' stato il sito Notav.info a scoprire il pagamento della madamina dandone notizia con malcelata soddisfazione. I militanti contrari alla linea Tav scrivono: «Che non ci fosse granché di spontaneo in quella piazza Castello gremita appena il tempo di una foto, era indicato subito dalla presenza più o meno sorniona di sotto-segretari, ministri, parlamentari senza contare le varie associazioni corporative confindustria, confcommercio, confesercenti e conflaqualunque». E poi infieriscono: «D’altro canto, che le “madamine” della collina fossero più o meno eterodirette era evidente anche dalle non proprio brillanti performance mediatiche in cui ammettevano la propria totale ignoranza a proposito del progetto, coperta solo da slogan vuoti quanto arroganti come quelli sui valsusini che dovevano limitarsi a prendere la loro capretta e andare a vivere nella valle accanto».

Il sito del giornale La Stampa riporta invece la dichiarazione risentita di un'altra delle sette madamine, Adele Olivero: «Di questo suo incarico (cioè dell'incarico della collega Carbone) non eravamo al corrente e in ogni caso non c'entra niente con quello che abbiamo fatto. Quella era una manifestazione civica e civile, in cui ritrovandoci nelle stesse idee abbiamo mosso migliaia di persone. I nostri contributi sono alla luce del sole». Olivero parla di «strumentalizzazioni. Anche all’epoca tutti avevano provato a salire sul carro, ma noi abbiamo sempre mantenuto la nostra indipendenza».

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