I tempi supplementari stavano per scadere, ma nessuno aveva interesse a giocarsi la partita ai rigori. Si è chiuso così con un compromesso il lungo braccio di ferro, più di sei mesi, tra il governo italiano e la Commissione europea sul pagamento da 19 miliardi di euro della terza rata del Pnrr. Bruxelles si è accontentata di mostrare i muscoli senza affondare il colpo, lanciando però un messaggio chiaro per il futuro.

E Roma è riuscita a limitare i danni, rinviando l’incasso di 519 milioni, ma salvando almeno la faccia. Lo scontro si era aperto sulla realizzazione di 7.500 alloggi per studenti universitari, uno dei 55 obiettivi che in base alla tabella di marcia del piano dovevano essere raggiunti entro la fine dell’anno scorso.

Da target a milestone

Giovedì il ministro Raffaele Fitto al termine di una riunione della cabina di regia convocata nel primo pomeriggio a Palazzo Chigi e durata pochi minuti ha annunciato i termini dell’accordo con la Commissione. Per dirla in estrema sintesi, l’obiettivo M4C1-28, come viene identificato nei documenti ufficiali, era un target e diventa un milestone.

Tradotto dal linguaggio per iniziati che sin da principio avvolge il racconto del Pnrr, significa che al governo basterà dimostrare di aver avviato entro giugno tutte le procedure burocratiche per aumentare da 40 mila a 100 mila i posti letto disponibili per gli studenti. In cambio, l’esecutivo non perderà i 519 milioni legati al raggiungimento dell’obiettivo, ma li riceverà con sei mesi di ritardo, a fine anno.

La terza rata, che era pari a 19 miliardi si riduce quindi a 18,5 miliardi circa, e la successiva, la quarta, in scadenza a dicembre aumenta a 16,5 miliardi. Il totale fa sempre 35 miliardi e Giorgia Meloni potrà aggrapparsi all’aritmetica per affermare che nulla cambia nella sostanza. «In accordo con la Commissione, le modifiche proposte non avranno alcun impatto sull'importo complessivo dei pagamenti che l'Italia riceverà nel 2023 con la terza e la quarta rata», si legge in una nota diffusa da Palazzo Chigi.

Il ritardo

Quando arriveranno a Roma i 18,5 miliardi, già in grave ritardo, della terza rata? «Nelle prossime settimane», ha rassicurato il commissario europeo all’economia Paolo Gentiloni. Mentre sulla quarta rata i giochi sono ancora aperti.

La questione degli studentati si aggiunge al calderone delle 10 proposte di modifica e rimodulazione degli obiettivi del Pnrr inviate da Roma a Bruxelles nei giorni scorsi. Proposte che saranno oggetto di trattativa nelle prossime settimane.

Sul piano formale, è previsto che l’emendamento debba passare l’esame della Commissione, e poi anche il Consiglio europeo, prima di ottenere un via libera definitivo che a questo punto appare scontato. Molto meno scontati appaiono invece i risultati del grande cantiere aperto dall’esecutivo sul Pnrr nel suo complesso.

Solo due giorni fa, in audizione alle commissioni Bilancio ed Affari europei di Camera e Senato, il ministro Fitto ha confermato che il governo sta mettendo mano all’intera architettura del piano per sveltire i tempi di attuazione dei progetti. Il pressing della Commissione europea è destinato ad aumentare ancora e Roma ha molto da farsi perdonare per i ritardi nell’impiego delle risorse e anche sulle modalità con cui gli obiettivi vengono raggiunti.

Gli studentati

Nel caso degli studentati, per esempio, Bruxelles si è impuntata sul fatto che almeno la metà degli alloggi erano preesistenti e non programmati ex novo per essere finanziati dalle risorse messe a disposizione dal Next generation Eu. Lo stesso vale per decine di altri progetti inseriti nel Pnrr che presentano problemi di «ammissibilità», per usare la definizione del ministro Fitto. Progetti, cioè, che riguardano una serie di opere, per esempio nei trasporti e nella sanità, elaborati negli anni scorsi e trasferiti nel piano solo in seconda battuta.

Questa situazione, come dimostra la vicenda recente degli alloggi per gli studenti, non potrà che generare nuovi conflitti con l’Unione europea. Queste incognite vanno ad aggiungersi al problema della lentezza nella spesa dei fondi. Due giorni fa in audizione alla Camera la Cgil ha segnalato che dal 1gennaio al 12 maggio l’Italia ha speso 1,2 miliardi di su 33,8 miliardi programmati per il 2023. In teoria, quindi, il governo dovrebbe riuscire a impiegare altri 32,7 miliardi in soli sette mesi. Una mission impossible.

I ritardi si sommano ai ritardi e la rimonta appare sempre più complicata. Come andrà a finire? La società di rating Standard & Poor’s l’Italia, insieme alla Spagna, va molto a rilento e quindi sarà alla fine costretta a chiedere più tempo per intraprendere i progetti di investimento più complessi, quelli che «riguardano gli obiettivi climatici, la digitalizzazione e la coesione sociale».

© Riproduzione riservata