La trappola miliardaria del Superbonus sta mandando definitivamente all’aria i fragili equilibri tra i partiti della maggioranza e avrà l’effetto di ritardare ancora di più la marcia del governo verso l’approvazione della manovra, già in grave ritardo rispetto alle recenti professioni di ottimismo di Giorgia Meloni.

Va detto che quanto sta succedendo era ampiamente prevedibile e infatti il mondo delle imprese così come le associazioni dei consumatori avvertono da mesi che il tentativo di bloccare, seppure gradualmente, la macchina infernale delle agevolazioni edilizie era destinato a scoperchiare un vaso di Pandora di vertenza giudiziarie, fallimenti tra le imprese e guai a non finire per i cittadini. Da più parti, inoltre, è stata segnalata anche la possibilità di un intervento dell’Agenzia delle Entrate che, in caso di mancato completamento delle opere finanziate con il Superbonus, potrebbe reclamare la restituzione di quanto incassato con le prime fasi dei lavori contestando il fatto che il previsto miglioramento di classe energetica non è stato raggiunto.

Coperta corta

Tra contenziosi e rischi vari, questo è esattamente lo scenario che si va profilando e adesso nelle fila della maggioranza si tenta di correre ai ripari per ridurre al minimo l’impatto politico di una vicenda che, comunque vada a finire, rischia di avere un forte impatto negativo, in termini di consenso, per il centrodestra. In pratica, la coperta del Superbonus è diventata troppo corta. E questo per effetto delle nuove regole introdotte dal governo all’inizio dell’anno. La situazione più complicata, per la quantità di cittadini coinvolti, è quella dei condomìni.

Secondo le statistiche più aggiornate ce ne sono almeno 36 mila in tutta Italia che hanno avviato cantieri per un valore di circa 13 miliardi di lavori ancora da completare. Gran parte di queste opere non saranno completate entro la fine dell’anno, quando lo sconto fiscale sarà ancora al 90 per cento. Dal primo gennaio prossimo, infatti, il rimborso di Stato scenderà al 70 per cento per i cantieri avviati nel corso del 2023.

È quasi certo, quindi, che con l’inizio del 2024 ci saranno migliaia di condomini che non riusciranno a far fronte a un aumento dei costi che non era stato programmato. Di conseguenza sono destinate a moltiplicarsi anche le controversie legali tra i committenti e le imprese, a loro volta spiazzate perché non riusciranno a incassare.

Scontro nella maggioranza

Come se ne esce? All’interno della maggioranza c’è chi spinge per una proroga. In altre parole, posticipare la scadenza del rimborso al 90 per cento. A questa soluzione si è però opposto da subito Giancarlo Giorgetti. Una nota del ministero dell’Economia ha sgombrato ogni possibile equivoco sulla posizione di Giorgetti in materia. Viene infatti esclusa “qualsiasi ipotesi di proroga del Superbonus circolata in queste ore”.

È soprattutto Forza Italia a premere per tornare ad allargare le maglie delle agevolazioni. Dopo varie ipotesi di matrice forzista che si sono infrante contro il muro del Tesoro ieri si è fatta strada la proposta del senatore Guido Liris, di Fratelli d’Italia, che punta a introdurre non una proroga ma un Sal (stato di avanzamento lavori) straordinario.

Liris è uno dei relatori alla manovra e ha spiegato che sarebbe allo studio un emendamento che darebbe più tempo, fino al 12 gennaio, per depositare la documentazione di quanto realizzato nel corso del 2023. Grazie a questo paracadute sarebbe possibile garantire uno sconto maggiore a una quota supplementare di lavori, venendo così incontro alle richieste di migliaia e migliaia di imprese di costruzioni che rischiano gravi perdite se non il fallimento. Non è un caso che da tempo l’Ance, l’Associazione nazionale dei costruttori, prema sul governo per correggere le regole introdotte solo qualche mese fa e ottenere una proroga, che consentirebbe quella che è stata definita “un’uscita ordinata” da questa fase complicata.

All’interno della stessa maggioranza c’è però grande prudenza sull’ipotesi di emendamento avanzata da Liris. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani è tornato a predicare cautela in vista dell’approvazione di una manovra che superbonus a parte, già si annuncia molto più complicata del previsto. In sostanza, nessuno se la sente di spingere su una soluzione, fin qui solo abbozzata, e che alla fine potrebbe anche non funzionare. Non si capisce bene, infatti, perché il Sal straordinario sarebbe qualcosa di diverso da una proroga, un’ipotesi c su cui il ministero dell’Economia ha messo il veto.

Conti a rischio

Del resto, nei mesi scorsi, il ministro Giorgetti non ha perso occasione per lamentare l’impatto pesantissimo delle agevolazioni edilizie sul bilancio pubblici. Il totale degli oneri a carico dello Stato ammonta ad almeno 130 miliardi. E ieri Giorgia Meloni nelle sue comunicazioni alla Camera in vista del Consiglio europeo di giovedì è tornata a definire il Superbonus un «macigno» che grava sui conti dell’Italia, che comunque, ha detto la premier si «presenta con le carte in regola».

Propaganda a parte, l’Italia ha già visto schizzare verso l’alto il deficit, che nel 2023 raggiungerà il 5,3 per cento contro il 4,5 previsto nel Documento di economia e finanza varato in primavera. Gran parte di questo aumento si spiega proprio con gli oneri supplementari del Superbonus. Ma il peso delle agevolazioni edilizie andrà pesare soprattutto sui conti dei prossimi anni: 20 miliardi nel 2024, come pure nel 2025 e nel 2026. Anche per questo motivo il rapporto tra il debito pubblico e il Pil resterà sostanzialmente ancorato al 140 per cento, secondo quanto previsto dal governo nella Nadef approvata poche settimane fa.

Sono questi i numeri che Giorgetti oppone a chi chiede di dare via libera all’emendamento dell’ultimo minuto sul Superbonus. Nelle prossime ore si capirà se la resistenza del ministro dovrà piegarsi di fronte alla ragion politica dei partiti a caccia di consensi.

© Riproduzione riservata

© Riproduzione riservata