L’Unione europea cerca da una parte di frenare i prezzi del gas e dall’altra di bloccare i profitti russi sul petrolio, ma non è detto che ce la faccia. Ieri il Consiglio europeo ha comunicato di aver trovato un accordo per bloccare il trasporto marittimo di greggio e prodotti raffinati russi oltre un certo prezzo nei paesi fuori dall’aria Ue. Nelle stesse ore si è fatta strada la proposta sostenuta anche dall’Italia di imporre un “cap” al metano, che in pratica esclude il gas naturale liquido. Entrambe queste proposte però non sono ancora state adottate e soprattutto manca un dettaglio fondamentale: a quanto arriva questo “tetto”?

Il “cap” al petrolio 

Il tetto al prezzo del petrolio, già concordato in sede di G7 il mese scorso, è stato definito dai 27 all’indomani dello schiaffo arabo agli Stati Uniti. Il gruppo di paesi esportatori Opec+, di cui fa parte anche la Russia, infatti, mercoledì ha stabilito il più alto taglio alla produzione di greggio da due anni a questa parte, una mossa che punta a far salire i prezzi e andrà ad aiutare le casse del Cremlino. Una mossa che ha fatto infuriare Washington. Il Coreper, il consiglio degli amabasciatori Ue, lo stesso giorno ha deciso di imporre il tetto al greggio russo.

Il Consiglio dei paesi Ue ha specificato che si tratterebbe del divieto di trasporto marittimo, assistenza tecnica, servizi di intermediazione o finanziamento e assistenza finanziaria, relativi sempre al trasporto verso paesi terzi di petrolio greggio (a partire da dicembre 2022) o prodotti petroliferi (a partire da febbraio 2023) originari o che vengono esportati dalla Russia, con una deroga se il petrolio o i prodotti petroliferi sono acquistati a un prezzo uguale al “cap” o inferiore.

Il nuovo divieto per le navi dell'UE di fornire trasporti marittimi si applicherà a partire dalla data in cui il Consiglio deciderà all'unanimità di introdurre il massimale dei prezzi, si legge nel comunicato. E proprio sull’unanimità restano le incognite.

«L’Ungheria ha appena siglato nuovi contratti per il metano con la Russia», ricorda Massimo Nicolazzi, esperto di trading di gas e petrolio russi, «a fronte dei loro rapporti non è scontato che Viktor Orbàn accetti questa posizione». All’Ungheria, si aggiungono paesi come la Grecia. A maggio, quando l’Unione europea aveva deciso di l’embargo, il paese mediterraneo che ha tra le sue maggiori attività il trasporto marittimo aveva opposto delle resistenze, potrebbe trovare da ridire su questa misura.

La Russia ha già minacciato di smettere di esportare, e l’ambasciata russa in Italia ieri ha twittato: «Hanno capito tutti che con il tetto al prezzo del #petrolio non ci sarà il tetto al prezzo della benzina?». Togliere una fonte di approvvigionamento secondo la Russia avrà dei riflessi sui prezzi.

La proposta italiana

Foto Mauro Scrobogna /LaPresse

Per il gas, ieri è arrivato un “non paper” di Italia, Belgio, Grecia e e Polonia. Un documento che non impegna i proponenti ma che delinea le caratteristiche che dovrebbe avere un price cap sul gas “dinamico”. Non un vero e proprio tetto, bensì di un “corridoio”, una banda di oscillazione per i prezzi del gas all'ingrosso, dunque non al dettaglio), da applicarsi a tutte le transazioni all'ingrosso sul gas nell'Ue. Il ministro Roberto Cingolani aveva anticipato la preparazione di “bullet point” e “la forchetta” destinati a ispirare la proposta della Commissione, basato su un valore di riferimento calcolato usando parametri esterni, come «il prezzo del greggio, del carbone e/o i prezzi del gas nel Nordamerica e in Asia) e che permetterebbe «fluttuazioni», nella misura per esempio del "5 per cento”, verso l'alto o verso il basso, rispetto al valore centrale. Valore che sarebbe «fissato e regolarmente rivisto», sulla base delle variazioni del paniere di riferimento. In questo modo si vuole «ridurre» la speculazione, scoraggiandola, e «mitigare la pressione inflazionistica».

Nicolazzi ironizza: «Il cap deve essere abbastanza alto da disincentivare l’uso del gas e spingere verso la decarbonizzazione senza scoraggiare il mercato, rischiamo di scoprire che il cap è il Ttf di oggi», dunque un prezzo alto.

Infine nel testo si fa molta attenzione a non intervenire sui contratti di lungo periodo, come quelli che ad esempio legano l’Eni alla società di stato russa Gazprom.

Il nuovo cap di fatto non sarebbe un vero e proprio tetto: «Il gas russo lo paghiamo indicizzato al Ttf  – spiega Nicolazzi -, l’azero va a Psv (il mercato italiano, ndr), si sospetta che l’algerino abbia ancora una quota a petrolio. Fino a qualche anno fa al cento per cento».

In questo modo si arriva a «una proposta meno esplicita della vecchia proposta italiana, di intervento informatico su tutte le piattaforme di contrattazione per far sì che rifiutassero di registrare contratti con prezzi più elevati di una determinata variabile».

Il no al cap russo

In questo scenario arriva netto il no dell’Italia e degli altri tre paesi al cap al solo gas russo, oppure a quello per produzione di elettricità. Per la coalizione dei quattro «un tetto solo sul prezzo del gas russo non avrebbe un impatto positivo sui prezzi al consumo; avrebbe un potenziale impatto negativo sulla sicurezza dell'approvvigionamento; sarebbe discriminatorio; porrebbe sfide al mercato (ad esempio, all'importatore sarebbe consentito acquistare al limite massimo e rivendere a prezzi di borsa interni più elevati); e, infine, dovrebbe essere adottato dalla stessa legge prevista per le sanzioni».

Per quanto riguarda il tetto al gas per la produzione di energia elettrica ignorerebbe due terzi del mercato del gas, dalle industrie all’uso domestico. 

Salvare il Gnl

Se da una parte l’Unione europea potrebbe usare la forza dei “tubi”, collegamenti fissi che giocoforza impongono ai paesi esportatori (ad esempio Norvegia, Algeria e Azerbaigian) di vendere metano per quelle rotte. Ma Sonatrach, la compagnia algerina, ha già detto di non essere d’accordo con la proposta. Per il Gnl il rischio che diventi più attrattivo il mercato asiatico resta alto ed è questa la maggiore paura della Germania. Per risolvere il problema ci sarebbero “i contratti per differenza”, che consentirebbero agli importatori di acquistare e rivendere al di sopra del limite massimo.

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