Immaginiamo una civiltà in cui mostrare anche solo un pelo della barba sia inaccettabile, di fatto vietato dalle più radicate convenzioni sociali. Un uomo non può uscire di casa senza essersi rasato alla perfezione ogni mattina, e se incontra uno specchio si controllerà il viso ossessivamente.

Se per caso poi è di quelli ai quali la barba inizia a ricrescere entro sera, dovrà radersi di nuovo, oppure sceglierà di nascondersi agli occhi degli altri esseri umani indossando una maschera. Va a una cena di lavoro e ha un millimetro di barba? Maschera. Vede gli amici? Maschera. Esce a comprare le sigarette? Maschera.

Il disagio legato alla visione della barba è tale, in questa civiltà, da non essere mai messo in discussione. Ogni tanto qualche uomo protesta, dicendo che forse sarebbe il caso di rilassarsi, visto che i peli non hanno mai ucciso nessuno.

Ma la sua rivoluzione resta immaginata. Ne consegue che i prodotti per l’eliminazione della barba sono beni di prima necessità, non solo: in una civiltà siffatta troveremo normale che tali prodotti siano messi a disposizione gratis nei bagni pubblici, come la carta igienica, e costino poco o nulla, per permettere a chiunque (anche ai senzatetto) di averli a disposizione.

Gestire le mestruazioni

Naturalmente sto cercando di costruire un parallelismo con la gestione delle mestruazioni, ma non è semplice, sia perché la civiltà che mette la maschera ai maschi irsuti fa ridere e sembra solo un racconto surreale, sia perché il sangue, a differenza della barba, va gestito non solo per rispettare la convenzione sociale di non mostrarlo in pubblico (convenzione che potremmo trovare discutibile), ma anche per oggettivi problemi di comodità.

Una donna che decidesse di non usare prodotti mestruali incontrerebbe, convenzioni a parte, dei fastidi. Infatti le donne gestiscono le mestruazioni anche quando sono in casa da sole.

Oggi parliamo di nuovo di tampon tax perché il governo Meloni ha raddoppiato l’Iva sugli assorbenti (non solo sugli assorbenti, fra l’altro, anche sui prodotti per l’infanzia), dopo che meno di un anno fa l’aveva portata al 5 per cento.

Da alcuni anni, a livello mondiale, si discute dell’eliminazione della tampon tax: piccola o grande, resta antipatica perché colpisce prodotti di prima necessità, acquistati però solo da una parte della popolazione. C’è un tema di disuguaglianza.

Cosa ci dicono le tasse

E la mia formazione economica mi porta sempre a pensare che la contabilità non è mai solo contabilità, e non è nemmeno solo un modello di ragionamento pratico. La maniera in cui gestiamo i conti piccoli e grandi rivela il nostro modello di realtà: le tasse raccontano una civiltà.

Resta da chiedersi però se, al di là dei simboli, l’eliminazione della tampon tax sia un meccanismo che funziona. Finora la riduzione si è tradotta in un flop, dato che i commercianti, in mancanza di controlli, non hanno trasferito il beneficio ai consumatori. I prezzi non sono scesi, e ora ci si aspetta che salgano. Ma anche se l’eliminazione della tassa funzionasse, ci sarebbe da chiedersi con quale impatto reale sulla vita delle persone. Il modello migliore resta quello scozzese, che ha reso tali prodotti gratuiti e accessibili a tutta la popolazione.

La contabilità racconta una civiltà e i suoi tabù, e le mestruazioni, si sa, mettono da sempre a disagio il maschilismo. Rendere i prodotti mestruali gratuiti, visibili e accessibili a chi li ha bisogno significa usare i soldi per raccontare, finalmente, il superamento di un disagio davvero stupido nella sua immensità.

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