Invertire il declino delle nascite rappresenta un tema bandiera del governo Meloni, e la legge di bilancio 2024 è un ottimo banco di prova per comprenderne intenzioni e aspettative. La nuova manovra introduce misure a sostegno delle famiglie e della natalità, quali l’aumento dei bonus per gli asili nido e un regime di tassazione molto favorevole alle donne con figli. Si tratta però di interventi di breve periodo, che supportano solo una parte dei neogenitori. Saranno sufficienti per avere un impatto sulle future decisioni di genitorialità dei cittadini?

Asili nido: i posti che ancora non ci sono

Per il bonus asili nido, a copertura delle rette annuali per il secondo figlio, la bilancia pende dalla parte delle misure a breve termine. Lo stanziamento di 240 milioni di euro, che corrisponde virtualmente alla retta annuale per circa il 7% dei bambini in età da asilo nido nel 2024, non garantisce né efficacia né continuità alla misura. Dall’introduzione del bonus asili nido nel 2017, circa un milione di minori ha beneficiato dell’agevolazione, e il tentativo di stabilizzazione dei fondi, che autorizza la spesa in modo incrementale fino al 2029, potrebbe essere favorevole a quei cittadini italiani che desiderano diventare genitori per la seconda volta. Tuttavia, le poche famiglie con due figli sono per lo più distribuite in zone spesso poco fornite di servizi per l'infanzia. Per esempio, in un comune siciliano medio nel 2023 ci sono 94,4 bambini in età da asilo nido a fronte di strutture pubbliche che possono accoglierne meno di 15.

Le opportunità per interventi più strutturali non mancano. Considerando la spesa predisposta per il 2024, investire questi 240 milioni nella copertura dei costi del personale per gli asili nido esistenti e in costruzione ridurrebbe la variabilità del servizio tra aree diverse, liberando così dei fondi che i comuni potrebbero riallocare a politiche famigliari dirette sul territorio. Alternativamente l’ammontare consentirebbe, secondo le stime di Tortuga, di finanziare la costruzione di 12mila nuovi posti in asili nido: se fossero realizzati tutti nella città metropolitana di Napoli, per esempio, si passerebbe da 12 posti ogni 100 bambini (in parte raggiunti grazie ai fondi Pnrr) ai 34 necessari per garantire il livello essenziale delle prestazioni (Lep) secondo le linee guida europee.

Il congedo parentale ancora poco usato dai padri

Sul fronte del congedo parentale, ossia quel periodo di astensione facoltativa dal lavoro che si può dividere fra i genitori, il governo prosegue sulla scia della legge di stabilità 2023 aumentando l'indennità all’80% (dal 30% degli anni passati) per il primo mese di congedo e aggiungendo un’indennità al 60% per il secondo mese. Tuttavia, rimane invariato a soli dieci giorni il congedo di paternità totalmente retribuito. La combinazione di queste misure lascia il lavoro di cura dei figli principalmente a carico delle madri. Infatti, nonostante il congedo parentale possa teoricamente essere diviso a piacimento fra madre e padre, un recente rapporto di Save the Children evidenzia che in più di un nucleo familiare su due è la madre a prendere più tempo di congedo parentale. Nel 37% dei casi la scelta è dovuta al mercato del lavoro: poiché il congedo parentale non è retribuito al 100%, le famiglie scelgono di privilegiare la stabilità del lavoro del padre, che in media è più pagato e gode di migliori prospettive di carriera. Senza un’estensione del congedo di paternità è difficile concepire un bilanciamento dei doveri di cura tra padri e madri. In Spagna, il governo ha gradualmente esteso il congedo di paternità che oggi è equiparato a quello di maternità (16 settimane) e retribuito al 100%. In Italia, proposte del genere sono state avanzate negli ultimi anni, ma non hanno ancora trovato risposta.

La decontribuzione è solo per poche

La misura prevede anche un esonero del 100% della quota dei contributi previdenziali per le lavoratrici madri di 2 o più figli (e in modo strutturale per chi ha almeno 3 figli) con un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato per gli anni dal 2024 al 2026. Il potenziale aumento in busta paga è certamente positivo per questa categoria di madri, che però rappresentano solo il 6% delle donne occupate, essendo escluse le lavoratrici a tempo determinato, in proprio e le lavoratrici domestiche. Una donna su tre, inoltre, smette di lavorare a seguito della nascita del primo figlio. Così concepita, questa misura, per quanto possa lanciare un segnale positivo in termini di attenzione alle famiglie numerose, avrà difficilmente un effetto sulle decisioni di fecondità delle donne.

L’Iva sui prodotti per la prima infanzia

Infine, il governo fa un passo indietro rispetto alla legge di bilancio 2023. Nel tentativo di alleviare il peso fiscale sui genitori e favorire l'accesso ai beni essenziali, era stata introdotta una riduzione dell’Iva dal 22% al 5% sui prodotti per la prima infanzia, come il latte, i pannolini, e i seggiolini per le auto. Questa misura non è stata rinnovata nella manovra del 2024 poiché il Ministero dell'Economia ha osservato già a maggio “una riduzione del prezzo pari solo al 50 per cento di quella attesa”. L'efficacia di questa politica può essere stata compromessa dal fatto che questi beni sono difficilmente sostituibili nel breve periodo, consentendo ai produttori di compensare la riduzione delle tasse con un aumento dei prezzi. In questo contesto di forte inflazione, è però difficile stabilire se la mancata diminuzione dei prezzi sia dovuta a un aumento dei profitti dei produttori oppure ai rincari nei costi di produzione. Tuttavia, è fondamentale considerare che la tassazione agevolata sui beni di prima necessità può avere un impatto positivo significativo sull'accessibilità a lungo termine, e gli effetti positivi richiedono un periodo di valutazione più ampio per poter essere osservati. È innegabile che un aumento dell'Iva su tali articoli comporterà un aumento significativo dei prezzi che potrebbe rappresentare un ostacolo all'accesso di beni essenziali per l’infanzia. In una politica volta a promuovere la natalità, fare affidamento sulla "legge di mercato" rappresenta un approccio ad alto rischio, che spesso porta a conseguenze impreviste.

La strada è ancora lunga

Le misure per il sostegno alla natalità dal Governo mancano di lungimiranza. Si focalizzano su obiettivi di breve termine, come il sostegno a specifiche famiglie, ma a discapito del traguardo dichiarato di incrementare il numero di nascite negli anni futuri. In altre parole, ignorano in larga parte la ragione principale dietro la bassa natalità, ossia la grande difficoltà per le donne e gli uomini italiani nel conciliare la vita da genitori e il lavoro. Queste proposte sono il frutto di una impostazione ideologica che relega la natalità alla sola maternità e dimentica il ruolo dei padri. Il confronto internazionale mostra come siano i paesi in cui anche i padri sono maggiormente integrati nella via familiare quelli in cui la natalità rallenta di meno. Per l’Italia la strada è ancora lunga, e questa legge di bilancio non va nella direzione giusta.

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