Difendere le lobby, come fanno i partiti di destra al potere in Italia, ha un costo per i cittadini. In genere è difficile quantificare quest’onere. Ma c’è un caso in cui invece è possibile indicare una cifra: è la vicenda dei taxi di Milano, una lunga telenovela che vede la Regione Lombardia guidata dal leghista Attilio Fontana opporsi alla Milano di Giuseppe Sala. La prima schierata a difesa dei tassisti e felice di mettere i bastoni tra le ruote di un sindaco di centrosinistra (anche se ci vanno di mezzo gli utenti), e il secondo che per anni ha chiesto, senza successo, il via libera all’aumento dei taxi. Il risultato è un mancato incasso per il Comune di circa 18 milioni di euro, oltre agli evidenti disservizi per la cronica mancanza di auto bianche che colpiscono cittadini, aziende e visitatori italiani e stranieri, con i relativi danni di immagine

Richiesta in continuo aumento

Ma andiamo con ordine. A Milano le licenze per i tassisti sono 4.855 che salgono a circa 5.400 considerando anche hinterland e aeroporti di Linate e Malpensa, che sono fuori dal Comune. Un numero considerato insufficiente. L’attuale amministrazione della città ritiene che siano necessarie almeno mille nuove licenze, mentre secondo un’indagine condotta dalla società che gestisce l’app Mytaxi (ora Free Now) ne occorrerebbero 1.500 per raggiungere un adeguato livello di servizio.

Del resto la richiesta è in continuo aumento. Il 2023 è stato l'anno record del turismo a Milano, con 8,5 milioni di arrivi in città e oltre 11,5 milioni nell'area urbana. In una segnalazione dell’Antitrust datata 2 novembre 2023 si legge che nel Comune di Milano la percentuale di richieste di taxi inevase «è sensibilmente aumentata in questi ultimi mesi, per arrivare ad oltre il 40 per cento nei mesi di maggio e giugno 2023» su due milioni circa di chiamate, e «che la percentuale di richieste inevase è stabilmente ben oltre il 20 per cento lungo gli ultimi 12 mesi». Le interminabili code agli aeroporti e alle stazioni milanesi sono finite perfino sulla prima pagina del Wall Street Journal, a simboleggiare l’incapacità dell’Italia ad avviare qualsiasi riforma, a partire appunto da quella del servizio dei taxi. Andrea Giuricin, economista specializzato in trasporti, commenta: «È assurdo che una regione con 10 milioni di abitanti, cuore economico dell’Italia, possa contare su così pochi taxi, quando nelll’area di Madrid se ne contano 16 mila e cui si aggiungono 9 mila Ncc. Per colpa di una lotta polita ai danni degli utenti».

Mentre, come ricorda l’Antitrust, «in numerosi Paesi dell’area Ue, come ad esempio Austria, Irlanda, Olanda, Germania, Slovacchia, Regno Unito e Svezia, non è presente un tetto massimo al numero di licenze taxi», di norma in Lombardia una città importante come Milano, nonché capoluogo, non può assegnare nuove licenze senza il permesso del Pirellone: lo prevede una legge del 2011, secondo la quale la Regione definisce l’incremento percentuale del contingente di taxi e la relativa ripartizione tra i Comuni che insieme a Milano fanno parte del bacino aeroportuale.

Pec senza risposta

Fino alla fine dello scorso anno il sistema funzionava così: avuto l’ok della Regione, Milano poteva indire un bando per concedere le nuove licenze a pagamento e il ricavato sarebbe finito per il 20 per cento nelle casse del Comune per interventi a favore del trasporto non di linea (taxi e autisti Ncc), come nuove corsie riservate, sicurezza, parcheggi dedicati, mentre il restante 80 per cento sarebbe stato ripartito tra i tassisti, a titolo di indennizzo (che già sembra una cosa un po’ bizzarra).

Quindi, se Milano fosse riuscita ad assegnare mille nuove licenze ad un costo di circa 90 mila euro cadauna, avrebbe incassato il 20 per cento di questa cifra, cioè i 18 milioni di cui abbiamo accennato all’inizio. E soprattutto avrebbe evitato i disagi ai propri cittadini e agli uomini d’affari che frequentano la città.

Ma alle ripetute richieste del Comune il Pirellone non ha risposto. In una Pec inviata il 10 novembre scorso alla direzione generale dei trasporti della Regione Lombardia si legge: «Con l'occasione si conferma l'attualità e la validità delle richieste già trasmesse nel gennaio 2020 e nel luglio 2023 alla vostra attenzione in merito all'incremento del contingente della flotta taxi del Comune di Milano, ai sensi dell'Art. 2 del vigente Regolamento del bacino di traffico del sistema aeroportuale lombardo del servizio taxi, rispettivamente per 450 e 1.000 nuove licenze, ad oggi ancora in attesa di riscontro da parte vostra». In altre parole, da più di quattro anni la Regione fa il muro di gomma, non replica, non soddisfa le esigenze del Comune. Perché? Lo abbiamo chiesto a Franco Lucente: nato a Catanzaro, il politico di Fratelli d’Italia si è fatto le ossa come sindaco del comune di Tribiano (Milano), dal 2013 ricopre la carica di Coordinatore per la Provincia di Milano del partito di Giorgia Meloni e attualmente è l’assessore ai trasporti della giunta guidata da Fontana. Dopo quattro mail da parte de Il Domani, Lucente, forse troppo impegnato a gestire i disservizi di Trenord a cui la Regione ha rinnovato il contratto senza gara, ha risposto con una breve nota scritta. Ecco il testo: «Da tempo Regione Lombardia ha avviato un confronto con il Comune di Milano in merito all’opportunità di aumentare sul territorio il numero delle licenze dei taxi. Più che sui numeri, noi abbiamo sempre posto una questione sulla gestione del parco auto e sulla riorganizzazione complessiva del servizio offerto. Successivamente, è intervenuto il decreto legge governativo che permette ai capoluoghi e ai bacini aeroportuali di incrementare il numero delle licenze del 20 per cento in maniera autonoma. È evidente, dunque, che la competenza in tal senso non è più di Regione Lombardia: il sindaco Sala dovrebbe rivolgere dubbi e perplessità altrove».

Lucente, che conferma l’orientamento della Regine contro un puro aumento del pur esiguo numero delle licenze, si riferisce alla grande novità intervenuta nel 2023: per venire a capo in qualche modo all’emergenza taxi, il governo Meloni ha varato il cosiddetto decreto “Asset” che consente ai Comuni di aprire in via straordinaria i bandi per nuovi taxi senza passare per le Regioni, ma con alcuni vincoli, tra cui il più singolare è che il 100 per cento del ricavato dovrà essere ridistribuito ai tassisti ad oggi in servizio, e non l’80 per cento come nel sistema ordinario. Ciò significa che i soldi per eventuali nuove aree di sosta o corsie dedicate per i taxi saranno a carico dei cittadini e non dei nuovi tassisti.

Indennizzo di 8.300 euro a testa

In concreto, grazie alla nuova legge, in novembre il Comune di Milano ha potuto finalmente indire un bando per 450 licenze. Per ciascuna di esse è stato fissato un prezzo di 96.500 euro a carico dei nuovi entranti, che moltiplicato per 450 fa circa 40 milioni che finiscono nelle tasche dei «poveri» tassisti: un regalo di circa 8.300 euro a testa. Il Comune comunque vorrebbe utilizzare la legge ordinaria per i prossimi bandi e arrivare alle famose mille licenze in più, in modo da poter incassare quel 20 per cento cancellato dalla norma straordinaria introdotta dal governo. Vedremo se la Regione risponderà.

Intanto la telenovela continua con ulteriori colpi di scena: alcune associazioni sindacali dei tassisti hanno presentato un ricorso al Tar per chiedere l’annullamento della delibera milanese, giudicando bassissimo il prezzo di 96.500 euro. L’assessora alla mobilità del Comune di Milano Arianna Censi ha replicato così: «Il ricorso dei tassisti è davvero singolare e ha una caratteristica molto marcata, che non giudico ma che noto con grande stupore: parla solo ed esclusivamente di soldi».

Quello di Milano non è un caso unico. Nella segnalazione dello scorso mese di novembre inviata alle amministrazioni di Milano, Napoli (2.364 licenze attive) e Roma (7.692), l’Antitrust sollecita questi Comuni ad adeguare «strutturalmente il numero delle licenze taxi, anche spingendosi oltre il 20 per cento consentito dalla procedura straordinaria prevista dal Governo» nel decreto Asset. E i tassisti di Roma son già sul piede di guerra: martedì 23 gennaio 2024 incroceranno le braccia gli aderenti all’Unione sindacale di base.

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