L’appuntamento è per domani pomeriggio ai cancelli della Te Connectivity di Collegno, alle porte di Torino. Insieme agli operai sono attesi anche tre parlamentari dell’opposizione, Chiara Gribaudo per il Partito Democratico, Chiara Appendino per il Movimento 5 Stelle e Marco Grimaldi di Sinistra Italiana.

Il presidio punta a tener alta l’attenzione sul destino dell’azienda piemontese che per decisione del gruppo multinazionale che la controlla chiuderà i battenti. Per i 222 dipendenti dello stabilimento di Collegno si prospetta il licenziamento. Una storia che ricorda quella della Embraco, un’altra fabbrica torinese chiusa all’unico scopo di spostare all’estero le attività. Nel caso della Te Connectivity la produzione verrà trasferita verso gli Stati Uniti e la Cina.

Una storia di successo

Quello di Collegno è uno stabilimento storico, attivo da quasi da 65 anni, specializzato nella produzione di componenti per elettrodomestici, fornisce anche cablature per auto per gli stabilimenti torinesi dell’ex Fiat. Non ha mai fatto ricorso alla cassa integrazione e ha sempre chiuso i bilanci in utile, compreso l’ultimo, che fatto segnare profitti per nove milioni di euro con un aumento del fatturato del 2 per cento nonostante un calo degli ordini del 20 per cento.

Non ci sono ragioni economiche dietro gli esuberi, e non ne ravvisa neanche la stessa Te Connectivity, che nel comunicato parla di “riorganizzare le attività a livello globale ragionando su dati macroeconomici”. La decisione dei vertici aziendali è stata presa nel rispetto formale delle norme sulle delocalizzazioni varate nel 2022, un provvedimento che, in teoria, avrebbe dovuto restringere i margini di manovra dei gruppi multinazionali che riducono le loro attività in Italia per spostarsi verso l’estro.

Così all’inizio della scorsa settimana l’azienda ha annunciato il licenziamento di 222 lavoratori su 300, e dei 78 “superstiti” 69 lavorano alla Te Connectivity Italia Distribution, che gestisce la distribuzione dei prodotti. Per quanto riguarda le linee produttive, cuore pulsante dello stabilimento, resteranno solo nove dipendenti per gestire il progressivo esaurimento delle commesse. Gli altri 199 andranno a casa. Resta salvo invece l’altra sito italiano della multinazionale svizzero-americana, quello di San Salvo in provincia di Chieti.

Una doccia gelata per i lavoratori e per tutto il distretto industriale di Torino, che rischia di fare a meno da qui a fine anno di 500 lavoratori, con i circa 300 dipendenti della Lear (azienda dell’indotto Stellantis che produce sedili per auto) che vanno ad aggiungersi agli oltre 200 della Te Connectivity.

Una legge inutile

Per fermare l’esodo di grandi aziende dal nostro Paese il governo Draghi aveva inserito una norma all’interno del decreto Aiuti ter del 2022. La legge prevede che le imprese con almeno 250 dipendenti che decidano il licenziamento di più di 50 dipendenti debbano comunicarlo con almeno 120 giorni di anticipo, elaborando al contempo un piano per limitare le conseguenze economiche della chiusura. Ma non è prevista alcuna sanzione vera e propria, a differenza, ad esempio, della normativa francese in materia, a cui pure il legislatore italiano si è ispirato.

La “Loi Florange”, adottata a febbraio 2014 dal parlamento francese e fortemente voluta dall’allora presidente Francois Hollande, prevede l’obbligo per le aziende di più di mille dipendenti a cercare un acquirente in caso di un piano di chiusura di uno stabilimento, e sono tenute a giustificare per iscritto il rifiuto di eventuali offerte, assumendosi la responsabilità di mettere in pericolo la continuazione dell’intera attività dell’impresa. Una disposizione - pur con tutti i suoi limiti - assai più stringente di quella italiana.

La politica si muove

Adesso sta alla politica, a livello regionale e nazionale, muoversi per salvare la Te Connectivity e i suoi 222 lavoratori. Ieri i dipendenti dell’azienda, accompagnati dalle rappresentanze sindacali della Fim-Cisl e della Fiom-Cgil sono andati in presidio sotto il grattacielo della Regione Piemonte e sono stati ricevuti dai consiglieri regionali di maggioranza e opposizione e dall’assessore al lavoro Elena Chiorino.

I lavoratori hanno portato al consiglio regionale la richiesta di attivarsi sui tavoli istituzionali. Lo stesso chiederanno domani ai tre parlamentari dell’opposizione che andranno ai cancelli della fabbrica.

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