In marzo è fallita una media banca californiana, Silicon Valley Bank (Svb) nonostante, al fallimento, rispettasse tutte le norme Usa. Pochi giorni dopo, i contribuenti svizzeri hanno dovuto salvare una grande banca, Credit Suisse (Cs), rilevata per 4 miliardi di franchi, solo un decimo del suo patrimonio netto contabile.

A comprarla è stato il suo grande concorrente e vicino, l'Ubs; ciò darà vita a un gigante che sarebbe too big to fail, troppo grande perché la Svizzera potesse, per ipotesi, nuovamente salvarla.

Vale per la Svizzera, piccola per dimensione, non per stazza economica e politica; figuriamoci per altri. Nella concorrenza fra banche conta anche la stazza del paese ospitante; questo dà un vantaggio competitivo, iniquo ma innegabile, ai grandi paesi.

Le banche centrali

Sia Svb che Cs operavano con capitali superiori del 50 per cento al minimo prudenziale regolamentare, sottolinea il banchiere Antonio Foglia, molto critico sulla vigilanza delle banche centrali. Esse hanno imposto regole minuziose sì, ma incapaci di preservare la stabilità delle due banche, nonché almeno di un’altra banca Usa, Signature Bank.

Cs paga la perdita di reputazione legata ai casi Archegos e Greensill, costati miliardi di perdite. Il primo era un hedge fund finanziato troppo largamente dalla banca, che ci ha perso miliardi, mentre Greensill era uno spregiudicato finanziere australiano che aveva dato una vernice di novità al buon vecchio factoring; Cs l’aveva fatto finanziare dai propri facoltosi clienti, con uguali risultati. Tali disavventure hanno condannato Cs.

Svb usufruiva di norme meno invasive di quelle europee, grazie a un intenso lobbying, ma a perderla è stato il normale lavoro dell’intermediazione creditizia.

Depositi “a vista”

Le banche raccolgono depositi soprattutto “a vista”, che i clienti possono ritirare senza preavviso, ma li impiegano anche a medio-lungo termine: è la “trasformazione delle scadenze”, dal breve al lungo. Fra gli impieghi a lungo e a tasso fisso, anche oltre i 10 anni, ci sono i finanziamenti a privati e imprese e i bond, pubblici e privati.

Il rischio è evidente: se troppi clienti vogliono ritirare i soldi tutti assieme, la banca non ha i liquidi per soddisfarli e crolla. Il rischio si aggrava in un periodo di crescita dei tassi d’interesse; se questi salgono, cala il valore al quale possono essere ceduti i crediti e i titoli in portafoglio.

In linea di principio, se una banca aveva comprato un titolo che rendeva l’1 per cento annuo, quando il tasso sale, ad esempio al 3 per cento, deve svalutarlo; ciò riduce il suo capitale regolamentare e se questo scende sotto dati livelli deve chiedere soldi ai soci.

Attenzione però, da tale obbligo la banca è esentata se dichiara di voler tenere quei titoli fino a scadenza (in gergo, sono held to maturity), anziché cederli sul mercato, ovviamente al nuovo, e più basso, corso vigente. Così la perdita, che pure viene esposta nelle comunicazioni al mercato, non è registrata nello stato patrimoniale, quindi non intacca il capitale di vigilanza.

Il ruolo della Fed

Come ricorda Foglia, Svb e Signature Bank non sono le sole ad avere un eccesso di capitale contabile, e al contempo dichiarare perdite su titoli tanto grandi, se registrate, da azzerare il capitale.

Nella stessa, critica situazione, si trova almeno un'altra banca californiana, First Republic, e forse non è la sola. Svb, dichiarando di detenere i titoli fino a scadenza, non denunciava necessità di nuovi mezzi propri; quando i suoi grandi depositanti han letto i dati, è scattata la grande fuga, e Svb s'è vista costretta a cercare capitali.

Non avendone trovati, è andata “sotto”. C'è anche un curioso dettaglio “tecnico”; all’undicesima ora Svb voleva ottenere finanziamenti d’emergenza della Federal Reserve (Fed), banca centrale Usa, ma questo “sportello” chiude alle 16 californiane. Svb c'è andata tardi, e alla mattina dopo non è arrivata viva.

La reazione immediata della Fed è stata di azzerare le azioni di Svb, lasciando però salvi i depositi, anche oltre la soglia di 250mila dollari; ha pure finanziato le banche cariche di titoli a lungo termine, accettando a garanzia tali titoli, valutati al nominale e non al corso di mercato, ben inferiore.

Tali provvedimenti, se adottati prima, avrebbero evitato il fallimento di Svb; essi possono sì salvare ogni banca, ma con costi esorbitanti. Per di più, attivarli a ogni grave crisi stravolgerebbe l’economia di mercato; ricordiamo che, adducendo questo timore, nel 2008 tale enorme facilitazione – finanziamenti d’emergenza garantiti da impieghi valutati al costo e non al ridotto valore di mercato – fu negata ai debitori insolventi proprietari di case.

E il futuro?

Ora ci si interroga su come evitare nuove crisi bancarie, anche perché la situazione resta preoccupante: First Republic non è il solo brontolio proveniente dalle viscere del vulcano bancario mondiale. Sarebbe bene anzitutto iniziare a prendere atto della mutata realtà.

Da molto tempo ormai i clienti, grandi e piccoli, possono operare sul conto bancario anche dall’ufficio o da casa. Ciò consente a tutti il ritiro immediato dei depositi, evitando gli imbarazzanti confronti con i funzionari di banca – peraltro quasi spariti anche in filiale – e moltiplicando i rischi di fuga. Per la stessa ragione, anche gli sportelli d’emergenza delle banche centrali vanno tenuti sempre aperti.

Voler detenere i titoli fino a scadenza non basta, bisogna poterlo fare, quindi avere capitale sufficiente a fronteggiare un forte calo dei depositi. Come è accaduto in Svb, timorosi delle perdite che la banca dovrà riconoscere se costretta a vendere i titoli (innescando la valanga che tutto distrugge), i clienti possono scappare, e scapperanno.

Pare poi che, paradossalmente, la Fed non tenesse adeguato conto, nelle “prove di sforzo” con cui tiene sotto controllo la stabilità delle banche, dell’effetto sui titoli in portafoglio dell’intensa fase di aumento dei tassi d’interesse da lei stessa lanciata; non servivano capacità divinatorie per temere la mazzata che ha atterrato Svb.

Questa crisi dovrebbe avercelo insegnato, nel nuovo mondo veloce, iper reattivo, a fronte delle perdite maturate, la somma di queste va registrata, o quanto meno accantonata, in bilancio; potrà essere liberata, in tutto o in parte, alla vendita o al rimborso del titolo.

Si potrebbe anche rispolverare un qualche grado di separazione dell’operatività secondo le scadenze, prevista dalla vecchia legge bancaria del 1936. Questa distingueva nettamente fra banche che si finanziavano a breve termine e sempre a breve investivano. e quelle operanti, all’attivo e al passivo, sul medio-lungo termine.

La vecchia legge bancaria

Non paia un’ubbia da passatisti, a qualcosa del genere si starebbe pensando. Il Financial Times del 28 marzo attribuisce a Michael Barr, vicepresidente della Fed per la supervisione, l’idea di imporre alle banche che impiegano a medio-lungo termine di una quota di finanziamenti passivi con pari scadenza. Non sarà questa misura, se pur fosse realizzata, a risolvere i problemi qui esposti, ma un contributo potrebbe darlo.

Se qualcuno fosse ancora interessato alla nostra storia economica, ricordiamo che, vigente la vecchia legge bancaria, lo sviluppo industriale italiano fu decisivamente sostenuto dagli istituti di credito speciale cui era riservata l’operatività nel medio-lungo termine.

Per farlo, essi si dotarono di professionalità capaci di valutare le prospettive di un’impresa ben oltre il breve termine; tale attività pare oggi ritenuta irrilevante dalle banche, che sono prive perciò di adeguato capitale umano.

Il futuro è un pericoloso enigma. L’abbiamo capito, il reticolo di norme che imbriglia l’operatività delle banche non ne ha impedito il fallimento, ma il lobbying bancario Usa ha fatto esentare banche come Svb da norme che forse potevano salvarla.

Ogni regola potrà essere aggirata o strumentalizzata e nessuno dei rimedi ampiamente discussi nel mondo pare in grado di sanare una grande contraddizione. Quella fra un’economia di mercato che, aspirando allo sviluppo, vuole premiare chi riesce, punendo chi fallisce, e la pratica impossibilità di applicare il principio all’attività bancaria, per i gravissimi rischi di contagio che la connotano; lo ha mostrato, una volta per tutte, il caso Lehman. Questa contraddizione alimenta il populismo, anima del sovranismo, il cui vero nome è nazionalismo, che è la guerra, disse François Mitterrand in uno storico discorso del 1995.

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