Il prezzo della benzina corre più veloce della politica. E soprattutto del governo, che ormai da quasi un mese, visto che non riesce a spezzare la spirale dei rincari, è costretto a trovare un colpevole, quale che sia, da additare all’opinione pubblica.

Il ministro delle Imprese Adolfo Urso, finito suo malgrado in prima linea, ha finito per prendersela con le tasse, proprio come ha fatto per anni il suo partito, Fratelli d’Italia, quando stava all’opposizione.

Lo scaricabarile

Ora che tocca a lui decidere, Urso prima se l’è presa con le società di raffinazione - «abbiamo chiesto spiegazioni», disse – e poi non ha trovato di meglio che scaricare sul fisco la responsabilità del caro carburanti. «I prezzi sono saliti meno di quanto avvenuto alla fonte. E se si tolgono le accise si vede che il prezzo industriale dei carburanti in Italia è inferiore a quello di Francia, Germania e Spagna», ha detto il ministro provocando un diluvio di reazioni tra l’ironico e il divertito nell’universo mediatico.

Una su tutte: «Se non facesse caldo si starebbe al fresco», si è letto su Twitter.

Le accise

Sì, perché purtroppo le accise ci sono e, al limite, toccherebbe proprio al governo toglierle o almeno ridurle. È noto, infatti, che in Italia il peso delle tasse sul prezzo della benzina supera il 58 per cento, mentre, per fare qualche esempio, in Germania siamo al 53,7 per cento, in Francia al 52,8 e in Spagna si supera di poco il 45 per cento. In tutti questi paesi i prezzi al litro sono inferiori a quello italiano, che ieri è arrivato a 1,94 euro per il self-service sulla rete stradale ordinaria, contro l’1,91 circa di Francia e in Germania e l’1,70 della Spagna.

Battute social a parte, a questo punto vale la pena chiedersi quali potrebbero essere i margini di manovra di un esecutivo che puntasse davvero a ridurre il peso del fisco sui carburanti. La voce «accise su prodotti energetici e loro derivati» vale circa 24 miliardi nella contabilità delle entrate tributarie. Nei primi sei mesi il gettito ha sfiorato gli 11 miliardi. Va da sé che non è facile rinunciare anche solo a una parte di questo tesoretto.

I precedenti

Una manovra in questo senso venne però decisa l’anno scorso dal governo di Mario Draghi, subito dopo l’invasione russa dell’Ucraina, che innescò un’impennata delle quotazioni del petrolio e quindi anche del prezzo dei carburanti. Erano i giorni in cui l’allora ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani, tuonò contro il caro carburanti, definito una «colossale truffa a spese delle imprese e dei cittadini».

Nel marzo del 2022, l’esecutivo decise quindi di dare un taglio alle accise di 25 centesimi al litro. Ebbene, in base ai dati resi noti dal Mef, quella manovra è costata alle casse pubbliche almeno 5 miliardi per otto mesi circa. A fine 2022 fu proprio il governo Meloni a tagliare lo sconto sulle tasse, che in due tappe (dal primo dicembre 2022 e poi dal primo gennaio di quest’anno) tornarono agli stessi livelli del marzo 2022. Il costo effettivo dell’intervento varato da Draghi è in realtà superiore a 5 miliardi, perché va tenuto conto dell’Iva al 22 per cento che veniva applicata anche sulla quota di accise temporaneamente abolita. In totale, quindi, si può ipotizzare che quella manovra fiscale abbia privato l’erario di circa 6 miliardi di gettito. Una somma che però, come detto, copre solo 8 mesi, mentre per un anno intero gli oneri arriverebbero intorno ai 9 miliardi.

Le prospettive

Il governo Meloni è pronto a spendere 9 miliardi per ridurre il peso delle tasse sui carburanti? Con la legge di bilancio che incombe, e una lunga serie di promesse da mantenere (cuneo fiscale, aliquote Irpef, pensioni) è improbabile che l’esecutivo possa anche solo pensare di aggiungere un’altra manciata di miliardi alla manovra che dovrà essere discussa a settembre. Le parole di Urso sul peso delle accise sono quindi di destinate a restare sospese a mezz’aria, come una delle tante polemiche agostane. Intanto i prezzi continuano a correre, ma più delle imposte è il costo industriale a pesare sugli aumenti.

Le ultime statistiche aggiornate al 14 agosto, rivelano che rispetto alla media del 2023 la componente fiscale ha fatto segnare un incremento dell’1,4 per cento circa, mentre il costo della benzina, quella venduta alla pompa, segna un rialzo al netto delle tasse vicino al 9 per cento. Del resto, dai primi di giugno le quotazioni del petrolio (prezzi WTI) sono aumentate di quasi il 25 per cento, per perdere qualche punto solo dal 10 agosto. Colpa dei tagli alla produzione decisi dall’Arabia Saudita, il maggiore produttore mondiale. Il mercato si muove di conseguenza, speculatori compresi.

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