Gli attacchi di Donald Trump alla Fed sono sguaiati e ingiustificati. Ma consentono di riflettere su come proteggere l’indipendenza delle banche centrali senza nuocere al dialogo con gli altri attori della politica economica
Questa settimana la Federal reserve americana ha deciso di lasciare i tassi di interesse invariati, mentre altre banche centrali continuano nel graduale processo di riduzione. Quasi ovunque le previsioni di crescita vengono riviste al ribasso e il tasso di inflazione è ben al di sotto del 2 per cento. In Italia, ad esempio, il tasso di inflazione di maggio è stato dell’1,6 per cento.
La decisione della Fed era attesa, e nei giorni precedenti ha causato un diluvio di insulti da parte di Donald Trump nei confronti del presidente della banca centrale americana, Jerome Powell, accusato di non voler abbassare i tassi per rilanciare consumi e investimenti.
Incertezza sull’inflazione
Trump, lo hanno notato in molti, deve biasimare solo sé stesso. La ragione principale per cui i tassi non scendono è la grande incertezza sulla dinamica futura dell’inflazione.
L’erratica guerra commerciale ci consegna due sole certezze: primo, anche se è impossibile sapere di quanto, i dazi aumenteranno significativamente, raggiungendo livelli mai visti dagli anni Trenta del secolo scorso; secondo, a pagare il prezzo dei dazi saranno principalmente i consumatori americani, con prezzi più alti.
Per il resto, la Fed si muove in una nebbia fittissima: l’inflazione sarà temporanea o persistente? E che succederà a investimenti e consumi in questo contesto di massima incertezza (oltre al caos della Casa Bianca, l’instabilità geopolitica e l’escalation israeliana in Medio Oriente)? E quanto ancora aumenterà lo scetticismo degli investitori sul dollaro, indebolendolo e alimentando l’inflazione importata? Di fronte all’impossibilità di rispondere a tutte queste domande, probabilmente, la strategia migliore è quella di aspettare e vedere come evolve la situazione. Dopotutto, si saranno probabilmente detti i membri del board della Fed, sono solo cinque mesi che Trump è presidente.
L’indipendenza delle banche centrali
Al di là del fatto che Trump può prendersela solo con sé stesso, i suoi ripetuti attacchi a Powell e le periodiche minacce di rimuoverlo consentono qualche riflessione sul rapporto tra banche centrali e sfera politica.
A partire dagli anni Ottanta si è affermata la dottrina per cui garantire l’indipendenza delle banche centrali consente di controllare l’inflazione più efficacemente impedendo che gli esecutivi le usino come bancomat.
La maggioranza dei paesi (anche gli Stati Uniti, finché dura!) hanno nel proprio ordinamento clausole a garanzia dell’indipendenza della banca centrale, e questo in passato ha contribuito alla stabilità macroeconomica (pur non essendone la sola ragione; ne discuto in Oltre le banche centrali, uscito nel 2023 per Luiss University Press).
Tuttavia, come sovente avviene in economia, il giusto principio dell’indipendenza è stato spinto troppo in là, portando a delle banche centrali che operavano in splendido isolamento, non solo non coordinandosi con le altre politiche economiche, ma spesso usando la politica monetaria come leva di pressione per ridurre i margini di manovra dei governi.
Qualcosa si muove
È un problema che abbiamo sentito particolarmente forte in Europa, dove la Bce ha avuto buon gioco a sfruttare l’asimmetria di una sola politica monetaria a fronte di venti politiche di bilancio per vincolare le politiche dei governi. Questi casi di “dominio monetario” (monetary dominance) hanno spesso finito per essere il veicolo delle politiche di austerità imposte a governi impotenti.
Per fortuna qualcosa si muove. Oggi molti economisti riconoscono la necessità di garantire, oltre all’indipendenza, che va assolutamente preservata, anche la responsabilità (accountabiliy) delle banche centrali di fronte al potere legislativo. Un interessante post sul blog del Fondo monetario internazionale, qualche anno fa, notava come una banca centrale obbligata a rendere conto delle proprie azioni è costretta a essere trasparente nel proprio processo decisionale; questo la rende più difficilmente attaccabile, contribuendo a proteggere la sua indipendenza.
Insomma, gli sguaiati e ingiustificati attacchi di Trump alla Fed ci consentono di riflettere sulla necessità di riportare le banche centrali nell’alveo del dialogo e della cooperazione con gli altri attori della politica economica, evitando che l’indipendenza diventi lo strumento per limitare i poteri di governi liberamente eletti e quindi contribuisca a minare la fiducia degli elettori nella democrazia.
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