Sulla metalmeccanica si abbattono i dazi americani al 25 per cento su acciaio, alluminio e componenti. Il settore è già in difficoltà. De Palma: «Servono lavoro e maggiore dignità salariale»
Negli ultimi cinque anni sono più di 13mila i lavoratori che hanno perso il lavoro nel settore metalmeccanico. Molti altri rischiano di perderlo, come dimostrano gli oltre quaranta casi di crisi aziendali aperti al ministero delle Imprese e del Made in Italy. Inoltre, mettendo a confronto gli ultimi tre anni, il ricorso alla cassa integrazione guadagni è aumentato del 36 per cento.
È il quadro a tinte fosche che emerge dai dati raccolti ed elaborati dalla Fiom-Cgil e presentati a Roma da Matteo Gaddi, ricercatore del centro studi Fiom nazionale, e dal segretario generale Fiom Michele De Palma.
I dati
Sono 13.571 i posti di lavoro persi, mentre il numero di addetti attualmente coinvolti in situazioni di crisi, cioè dichiarati esuberi, oppure coinvolti in ammortizzatori sociali è pari a 19.364: il 49,2 per cento degli addetti attualmente in forza a tali aziende metalmeccaniche nei diversi settori.
Concentrandoci sull’automotive 2.127 lavoratori hanno perso il lavoro e il totale degli addetti coinvolti costituisce il 59,1 per cento degli addetti attuali. Tra i tavoli di crisi in questo settore c’è la Menarini, l’ex Fiat di Termini Imerese, Trasnova e via dicendo.
Siderurgia a picco
Nel settore siderurgico si contano 6.308 posti di lavoro persi. Il totale degli addetti coinvolti dagli ammortizzatori sociali costituisce il 47 percento degli addetti attuali. Tra le aziende che vanno e vengono dal tavolo del Mimit ci sono, per citare le maggiori, le Acciaierie d'Italia (ex Ilva di Taranto), Berco e la JSW Steel Italy Piombino (ex Lucchini).
Nell'elettrodomestico, dall'origine delle crisi ad oggi, sono stati persi 1.232 posti di lavoro, il totale degli addetti coinvolti dagli ammortizzatori sociali costituisce il 24 per cento di dipendenti.
Dignità salariale
«Abbiamo un tema costituzionale», scandisce il segretario generale Fiom Michele De Palma, «Oggi per la maggioranza dei lavoratori la retribuzione non è dignitosa». E continua: «non possiamo negoziare solo il recupero di una parte dell’inflazione. Noi vogliamo un salario dignitoso».
Per altro la metalmeccanica è il settore che paga il prezzo più alto dall’introduzione dei dazi. Per i prodotti metalmeccanici, i dazi Usa in vigore o imminenti in misura del 25 per cento riguardano l’alluminio per un valore complessivo di 3,417 miliardi di dollari di esportazioni italiane, l’acciaio per un valore complessivo 2,258 miliardi di dollari, i veicoli per un valore complessivo di 3,653 miliardi di dollari e la componentistica dei veicoli per un valore complessivo di 2,752 miliardi di dollari. Per un totale di circa 12 miliardi di dollari.
Per De Palma «la guerra dei dazi rischia di essere pagata prima di tutto dai lavoratori, con la delocalizzazione delle aziende». Risposte e provvedimenti devono arrivare non solo dall’Italia ma dall’Unione europea e le soluzioni sono diversificare i partner commerciali, puntare a una dinamica di equilibrio tra import ed export e quindi superare un modello economico basato sulle esportazioni e sull’alta marginalità, sostiene De Palma.
Il rischio è che dazi, crisi e transizione abbiano un impatto ad oggi non stimabile «ma molto importante da un punto di vista occupazionale e per i giovani che non hanno futuro».
Tra le proposte avanzate dalla Fiom, ci sarebbe uno strumento nuovo «da discutere con la ministra del lavoro Calderone per affrontare la crisi: noi pensiamo che i piani industriali debbano essere affiancato da un piano pluriennale di garanzia occupazionale».
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