Il calendario che rivelerà la portata della crisi economica italiana non si ferma al primo luglio e al 31 ottobre, le tappe previste dalla fine del blocco dei licenziamenti. L’altra data chiave è quella della fine dell’assai meno raccontato “blocco dei finanziamenti” che durante l’anno della pandemia ha permesso a famiglie e imprese di non rimborsare le rate dei prestiti ottenuti dalle banche.

La grande sospensione dei debiti che l’Italia sta sperimentando con tempistiche molto più lunghe rispetto agli altri paesi europei dovrebbe terminare il 31 dicembre prossimo. Il decreto Sostegni bis ha, infatti, prorogato le moratorie fino alla fine dell’anno, di fatto congelando i fallimenti di impresa e permettendo alle famiglie di tagliare le spese che pesano maggiormente sui loro bilanci: le rate dei mutui immobiliari. Quando terminerà questo limbo, il tasso di default delle aziende ma anche i dati sulla povertà degli italiani rischiano di impennarsi.

Cosa aspettarsi

Crif, società italiana specializzata in sistemi di informazioni creditizie che raccoglie i dati di tutti gli istituti di credito sui finanziamenti a imprese e famiglie, stima un aumento dall’1,2 per cento al 2,5 per cento, quindi quasi un raddoppio, del default sul credito al consumo. Si tratta delle rate delle famiglie per l’acquisto di automobili o di altri beni durevoli. Mentre il tasso di default sui mutui dovrebbe arrivare all’1,8 per cento. Tuttavia la vera preoccupazione, nel caso in cui il passaggio fuori dal limbo non avvenisse con gradualità si concentra sul credito alle imprese. Infatti, sull’ammontare dei crediti deteriorati inesigibili accumulati in pancia alle banche i crediti alle famiglie rappresentano meno di un quinto dell’intera torta. Inoltre i dati registrati dalla banca dati Crif in questi mesi dicono che a usufruire della moratoria sono state soprattutto le imprese: in media una su cinque, su un totale di sei milioni di aziende, considerando anche le ditte individuali – partite Iva.

La mappa

La banca dati di Crif è una sorta di bussola per orientarsi nella grande mappa dei debiti con cui il paese si dovrà confrontare. Ufficialmente infatti il tasso di default dei finanziamenti a imprese e famiglie nel primo trimestre del 2021 è calato rispetto all’autunno precedente. Ma con la moratoria in corso, i dati sui fallimenti in questo momento ci dicono poco nulla di cosa stia succedendo in realtà.

In una elaborazione pubblicata il 23 giugno, la società ha analizzato la distribuzione territoriale e la tipologia dei prestiti per cui sono stati sospesi i rimborsi delle rate, cifre dietro alle quali ci sono le storie di più di un milione di aziende.

La geografia del limbo del debito ha il suo epicentro nella locomotiva economica di Italia, la Lombardia. Sul totale dei rimborsi dei finanziamenti che sono stati “congelati” alle famiglie, uno su cinque è stato sospeso in Lombardia. Per dare una idea sono stati sospesi solo il 2,7 per cento dei finanziamenti erogati nella regione, ma che corrispondono al 20 per cento del totale nazionale. Mentre considerando i congelamenti sul totale a livello regionale, i territori dove il tasso di famiglie che hanno chiesto di bloccare le rate è maggiore sono la Valle d’Aosta, le Marche e l’Abruzzo: in tutte e tre le regioni sono stati sospesi i rimborsi più del 3 per cento dei contratti di credito delle famiglie sul totale.

Per peso sul totale nazionale, invece, la seconda regione per quota di sospensione è il Lazio con il 10,3 per cento. Seguono l’Emilia Romagna e la Toscana che pesano rispettivamente per l’8,9 e l’8,6 per cento sul totale nazionale.

Si tratta di una fotografia dell’incertezza più che di una immagine dei fallimenti futuri: non si possono al momento distinguere le aziende e le famiglie che hanno deciso di aderire alla moratoria perché non erano in grado effettivamente di pagare o per tutelarsi semplicemente nel mezzo della crisi e affrontare il conto delle rate in un periodo di maggiore certezza economica.

Mutui da 972 euro

Per dare una idea di quanto la sospensione abbia alleviato la fine del mese per le famiglie italiane basta dire che la media delle rate congelate è di 673 euro, una cifra maggiore dell’importo medio del reddito di cittadinanza. Che si alza a 972 euro nel caso dei mutui immobiliari, una spesa tutt’altro che indifferente per una famiglia italiana con un reddito medio. I mutui immobiliari sospesi sono il 4,6 per cento del totale, ma rappresentano quasi il 40 per cento dei finanziamenti che le famiglie hanno congelato. Il dato è ancora più interessante se letto assieme a quelli dei finanziamenti congelati alle imprese. Sorprendentemente tre quarti dei finanziamenti congelati si riferiscono alle società di capitali.

Questo vuol dire che la maggioranza delle imprese che hanno chiesto di rimandare i rimborsi sono tendenzialmente aziende di maggiori dimensioni rispetto alla media. Tra le società di capitali una su cinque ha sospeso il pagamento delle rate contro il 10,7 per cento delle ditte individuali e il 20,5 per cento delle società di persone.

Secondo gli esperti di Crif, queste cifre dipendono dal potere negoziale delle aziende sul mercato, perché è più facile che l'artigiano stringa la cinghia magari tagliando il suo stesso stipendio per ripagare i rimborsi o per pagare i fornitori, mentre le medie e grandi aziende possono anche permettersi di trattare con i fornitori. Eppure i dati sui ritardi dei pagamenti raccolti dalla società di analisi del credito raccontano il peggioramento della situazione.

Nel primo quadrimestre del 2021 le aziende che hanno pagato puntualmente sono un terzo, mentre il 13 per cento accumula un ritardo grave, pagando i fornitori con ritardi superiori al mese. Nei primi tre mesi del 2020, in sostanza prima che il colpo della pandemia si abbattesse pesantemente sul tessuto economico nazionale, i ritardi gravi riguardavano il 10,6 per cento.

Il peso della Lombardia

Ancora una volta la grande fetta del congelamento dei pagamenti delle rate si concentra in Lombardia: più di un quarto delle rate sospese a livello nazionale si riferisce ad aziende lombarde. In Lombardia più di una azienda su cinque, il 22 per cento, ha approfittato della moratoria. Ma ci sono altri territori in cui l’incidenza regionale è ancora più alta. In Molise, per esempio, il 30,3 per cento delle imprese ha sospeso i pagamenti, in Abruzzo il 26 per cento.

La media dell’incidenza regionale è del 19 per cento, cioè a prescindere dalla regione, possiamo dire che una azienda su cinque non sta pagando le rate di un finanziamento. Questo significa che al momento un pezzo importante del sistema del credito è congelato e siccome è il sistema del credito che innerva il tessuto economico, siamo di fronte a una economia in sospeso.

Quello che succederà alla fine del 2021 non è facile da prevedere. La previsione di una crescita del Pil al 4,5 per cento, apparentemente una ottima notizia, vuol dire che riusciremo a recuperare la metà di quello che abbiamo perso per la pandemia. E che se riuscissimo a mantenere una crescita robusta, potremmo pensare di metterci due anni per recuperare i livelli del 2019, quando il paese comunque registrava una crescita asfittica, ragionano al Crif.

Appesi al Pnrr

Per questo i fondi in arrivo del piano di ripresa e resilienza diventano ancora più importanti, così come la rapidità con cui verranno riversati sul tessuto delle imprese. Ma non saranno comunque sufficienti a frenare l’aumento del rischio del credito.

«Malgrado la progressiva ripresa dell’economia nazionale, che nei prossimi mesi beneficerà anche delle ingenti risorse che arriveranno grazie al Pnrr, per il prossimo futuro dobbiamo però attenderci un peggioramento della rischiosità del credito una volta che cesseranno gli effetti anestetizzanti della moratoria e le misure di sostegno sui redditi», dice il direttore Credit bureau solutions di Crif, Antonio Deledda. A quel punto, come con il blocco dei licenziamenti, sarà ancora una volta la politica a dover dosare i tempi e i modi della fine dell’economia anestetizzata.

 

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