Il parlamento europeo si appresta a confermare lo stop di fatto a limiti più severi alle emissioni inquinanti: gli standard Euro7 sulle emissioni delle auto verranno annacquati rispetto alla proposta iniziale della Commissione Ue, dopo un anno di battaglia condotta dalle case automobilistiche con l’appoggio dei grandi paesi produttori di auto.

Il tutto anche se i fornitori di componenti per auto sostengono che la tecnologia per ridurre le emissioni nocive c’è e non costerebbe più di tanto. La discussione sulla nuova norma al Parlamento europeo in sessione plenaria è prevista per mercoledì 8 novembre a Strasburgo.

La storia.

La Commissione Ue aveva presentato nel novembre 2022, per ridurre l’inquinamento atmosferico provocato dai nuovi veicoli venduti nell’UE, una proposta di nuovi standard rispetto agli attuali Euro 6. Tale proposta non ha nulla a che fare con la CO2 ma è relativa alle emissioni inquinanti di tubi di scappamento, come ossidi di azoto e particolato, e quelle di freni e pneumatici.

La proposta includeva fra l’altro un allineamento dei diesel ai limiti sulle emissioni di ossidi di azoto già in vigore per i motori a benzina e un ampliamento della gamma di condizioni di guida coperte dai test sulle emissioni su strada, per riflettere meglio le condizioni reali.

La lobby dei costruttori ha condotto una lunga campagna per insabbiare o diluire tali proposte, con la tesi che “tanto nel 2035 si andrà all’auto elettrica, e non ha senso spendere su motori a combustione che saranno in vendita per non più di 10 anni”.

L’argomento principale della Commissione Ue riguardava proprio il dopo-2035: è vero che (almeno in teoria) dopo quella data tutte le auto vendute dovranno essere a emissioni zero, ma si prevede che ancora nel 2050 oltre il 20% delle auto e dei furgoni e più della metà dei veicoli più pesanti circolanti nelle nostre strade avranno un motore a scoppio e quindi continueranno a inquinare.

Lo scontro

Le proposte dei costruttori sono state appoggiate dai grandi paesi produttori di auto, Italia compresa. A fine settembre la Commissione Ambiente del Parlamento europeo ha approvato una bozza annacquata, con standard per le auto di fatto uguali agli Euro 6. Al voto dell’Europarlamento in sessione plenaria seguirà il consueto negoziato tra Commissione, Parlamento e Consiglio che rappresenta i singoli Governi.

Secondo il CLEPA, l’associazione dei produttori dei componenti auto, “un Euro 7 debole e rinviato nel tempo non sosterrà né l’aria più pulita, né stimolerà l’innovazione nell’UE. Nonostante i progressi compiuti nel campo della mobilità elettrica, si prevede che l’UE venderà 100 milioni di auto ad alimentazione convenzionale nel prossimo decennio.”

Alla base della posizione CLEPA c’è sicuramente una motivazione economica: standard più severi comporterebbero più lavoro per i colossi tipo Bosch e Continental; ciò permetterebbe forse anche di tenere aperti ancora per qualche anno impianti che prima o poi chiuderanno con l’avvento delle auto a batterie.

Pur con motivazioni diverse, la posizione dei componentisti coincide con quella delle associazioni ambientaliste: se le auto diesel e benzina vendute fino al 2035 saranno meno inquinanti grazie a un Euro 7 più severo, l’aria delle nostre città ne trarrà beneficio.

Le case automobilistiche protestano spesso contro le limitazioni al traffico automobilistico in ambiente urbano, dove gli effetti dell’inquinamento sono più pesanti; al tempo stesso però rifiutano misure che potrebbero ridurne l’impatto. Uno dei loro argomenti è che il costo di standard più severi si tradurrebbe in prezzi più alti delle auto, a scapito dei consumatori; i costruttori però hanno rialzato i prezzi negli ultimi anni molto più dei costi, incassando profitti da record.

La filiera italiana contro standard più severi

In Italia l’intera filiera si è schierata sulle posizioni di Stellantis. Roberto Vavassori, presidente dell’associazione di settore ANFIA, lo spiega così: «La nostra associazione raggruppa anche case costruttrici come Ferrari o Lamborghini; e noi abbiamo anche ottimi rapporti di cooperazione con il gruppo Stellantis» (FCA, poi confluita in Stellantis, uscì da ANFIA ai tempi di Marchionne). Riesce difficile immaginare che Ferrari e Lamborghini possano essere messe in difficoltà da investimenti addizionali per gli Euro 7.

Vavassori, che guidò il CLEPA dal 2016 al 2019, ricorda che l’organismo ha avuto fin dall’inizio una posizione più favorevole alle proposte della Commissione; «i grandi componentisti europei sono certamente interessati a sviluppare e vendere tecnologie più avanzate anche per i motori endotermici, che in teoria potranno essere venduti in Europa solo fino al 2035».

Gli italiani non lo sono? «Molti dei nostri associati sono specializzati nel motore endotermico, e devono quindi investire per riconvertirsi e trovare un posto nel futuro mercato della mobilità elettrica; non è facile per aziende non grandi. In questo periodo di transizione, piccolo non è poi così bello» ammette Vavassori.

I numeri del settore in Italia.

Oltre ad essere piccoli, «i fornitori italiani delle parti per motori a scoppio e cambi sono una minoranza all’interno del settore componenti” osserva Francesco Zirpoli, direttore del Center for Automotive & Mobility Innovation (CAMI) dell’Università di Venezia. Secondo uno studio del 2022, a firma del CAMI e dell’associazione Motus-E, su 2.400 imprese italiane analizzate, solo 93 producono componenti esclusivamente destinati ai motori a scoppio. Queste imprese occupano circa 14.139 lavoratori che risulteranno ad alto rischio in assenza di azioni decise di riconversione in vista del 2035”.

La drastica opposizione della filiera italiana agli standard Euro 7 non è giustificata neppure dal tipo di produzione di auto in Italia. I nuovi standard non entrerebbero in vigore prima del 2026. Gli aggravi di costo paventati dai costruttori peserebbero in proporzione di più sui modelli economici, ma l’unico ancora prodotto in Italia è la Panda, la cui produzione a Pomigliano dovrebbe terminare entro la fine del 2026; la nuova Panda non verrà prodotta in Italia. L’intera fabbrica di Melfi verrà riconvertita all’elettrico entro il 2026 mentre il resto delle produzioni italiane riguarda i marchi Maserati e Alfa Romeo. Forse Stellantis teme che i suoi marchi di lusso non riscano ad assorbire eventuali costi addizionali?

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