Sbarca in parlamento il disegno di legge per il Made in Italy, che nei piani patriottici del ministro Adolfo Urso dovrebbe dare impulso all’industria nazionale. Come annunciato due mesi fa, quando il Consiglio dei ministri ha dato via libera al progetto, tra le misure elencate nel ddl compare anche l’istituzione di un fondo sovrano italiano, che avrà una dotazione di un miliardo (il doppio dei 500 milioni di cui si era parlato a maggio) a carico delle casse statali, a cui si aggiungerebbero risorse raccolte dai privati, che secondo nelle previsioni del governo dovrebbero arrivare a un altro miliardo circa.

Due miliardi, quindi, in totale, una somma certo considerevole in termini assoluti, che però pare esigua, per usare un eufemismo, se confrontata alle potenza di fuoco dei fondi sovrani, quelli veri, che operano sui mercati finanziari. Il fondo norvegese, per esempio, che è il più grande del mondo in termini di capitali gestiti, ha generato profitti per 84 miliardi nel solo primo trimestre del 2023 e gestisce investimenti per un totale di 1.370 miliardi.

Al di là delle risorse, poi, non è chiaro perché l’Italia dovrebbe avere un proprio fondo sovrano. Il concetto è nato in Norvegia, dove la lungimiranza della classe politica aveva portato alla creazione di una “società di investimento” pubblica che gestisse gli enormi profitti generati dall’estrazione di petrolio e di altre risorse naturali.

Anziché spendere immediatamente il denaro ottenuto con le concessioni e le estrazioni, si è deciso di metterne da parte una quota, investendola, appunto, nel fondo sovrano, che oggi detiene circa l’1,4 per cento di tutte le società quotate al mondo. Istituzioni simili sono poi nate in altri paesi che hanno a disposizione grandi quantità di risorse naturali, come il Qatar e l’Arabia Saudita che garantiscono un flusso di capitali costante per le le casse dello stato. L’Italia è importatrice netta sia di energia che di altre risorse naturali, per cui non sembrano esserci le basi per la creazione di un fondo sovrano.

Cassa depositi e prestiti

Non avere “soldi in più” da parte non è però una buona ragione per non avere un patrimonio pubblico da gestire. Nel tempo, il nostro paese ha potuto contare su numerose istituzioni che partecipavano in maniera diretta o indiretta alle attività produttive del paese.

Oggi un fondo sovrano nazionale esiste già, ma non ha un nome altisonante come il disegno di legge sul Made in Italy vorrebbe. Si tratta della Cassa depositi e prestiti, che ha il compito di gestire asset strategici per lo stato e viene utilizzata dal ministero dell’Economia per partecipare indirettamente in aziende che necessitano dell’intervento pubblico.

Cdp equity, braccio operativo della Cassa, si presenta come «un investitore paziente di lungo periodo e agisce secondo logiche di mercato. Gli interventi in settori strategici, con ritorni adeguati, sono connaturati alla sua missione di sostenere lo sviluppo del Paese». Proprio quello di cui si occupa un fondo sovrano.

Nel 2022, il capitale gestito da Cassa depositi e prestiti valeva quasi 500 miliardi. È vero, non si tratta di un vero fondo sovrano, ma a cosa serve uno strumento di questo tipo se non ci sono fonti di ricavo extra da gestire? Vista la serietà della proposta, misurabile dal singolo miliardo che si vorrebbe investire, viene da pensare che si tratti solo di una bandierina politica, che rischia di perdersi nel gran mare dell’irrilevanza.

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