Due donne sono in testa alla corsa per conquistare la guida di JPMorgan Chase, la banca americana più grande per numero di asset e una delle regine di Wall Street.

La promozione dei Marianne Lake e Jennifer Piepszak ai piani altissimi del colosso finanziario di New York è una ventata d’aria fresca in un mondo, come quello della finanza a stelle e strisce, dove la leadership al femminile rappresenta ancora una rara eccezione, invece che la regola. Del resto, l’idea di una donna a capo di uno dei cavalli di razza di Wall Street è stata tabù fino all’inizio di quest’anno, quando Citigroup ha nominato Jane Fraser come sua nuova amministratrice delegata al posto di Michael Corbat.

Ma chi sperava nell’inizio di un trend ha dovuto presto ricredersi visto che un altro grande pilastro della finanza newyorkese come Morgan Stanley, anch’esso alle prese con il problema della successione, è andato nella direzione opposta nel derby cittadino con JpMorgan, piazzando in pole position una manciata di uomini per sostituire l’attuale presidente e amministratore delegato, James Gorman. Va detto che quando solo il 18 per cento dei tuoi manager sono donne, come nel caso della banca fondata da Henry Morgan e Harold Stanley, non sorprende che il top job diventi un affare tutto al maschile.

Il conto alla rovescia

Anche per questo la mossa di JpMorgan ha un peso specifico importante. Il gruppo da quasi 3,7 triliardi di dollari di asset in gestione e 485 miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato è oggi nelle mani di un veterano della finanza come Jamie Dimon, che da presidente e a.d. l’ha condotta attraverso la crisi finanziaria di inizio secolo e la più recente pandemia. In entrambi i casi, JpMorgan ne è uscita più forte, come dimostra l’andamento del titolo in Borsa, cresciuto del 400 per cento da quando Dimon ha assunto la guida nel 2005.

Quando il padrone di casa ha un curriculum del genere è chiaro che il passaggio del testimone diventa un rompicapo sul quale si decide molto del futuro di un’azienda, e su cui il consiglio di amministrazione non può permettersi errori. Gli investitori, che chiamano il numero uno di JpMorgan per nome in tono quasi affettuoso e che riconoscono la presenza di un “Jamie premium” nei corsi azionari, vivono l’idea della transizione con un pizzico di ansia.

Basta guardare la performance dell’ultimo trimestre per capire che la banca ha il vento in poppa e che il suo capitano ha superato la tempesta Covid in maniera brillante: l’utile netto è cresciuto dai 2,9 miliardi di dollari dei primi tre mesi dello scorso anno a 14,3 miliardi, mentre i ricavi sono saliti del 14 per cento a 33,1 miliardi. Intanto, 5,2 miliardi che la banca aveva accantonato durante la pandemia per far fronte ad eventuali perdite scatenate dalla crisi economica sono stati liberati, dando ulteriore ossigeno ad un bilancio già solido. Da qualche tempo, Dimon rassicura gli azionisti rispondendo alla domanda sulla successione sempre nello stesso modo, ovvero che resterà per altri cinque anni, ma per la prima volta da quando comanda le operazioni quei cinque anni appaiono un orizzonte temporale plausibile. Per dirla alla maniera di un analista di settore interpellato sull’argomento: “the clock is ticking”, è iniziato il conto alla rovescia.

La grande corsa

I pretendenti al trono non mancano. Oltre alle due manager, nella ristrettissima cerchia dei delfini ci sono anche il capo dell’investment banking, Daniel Pinto, e Jeremy Barnum, che nella riorganizzazione annunciata a maggio ha ricevuto l’incarico di chief financial officer, il direttore finanziario. Un altro nome forte era quello di Gordon Smith ma l’attuale co-presidente e co-chief operating officer, il direttore operativo, ha annunciato che lascerà la banca a fine anno, lasciando entrambe le cariche in dote al solo Pinto. Come spesso accade in questi casi c’è anche un outsider di lusso: quel William Demchak che dopo una carriera di prestigio nei ranghi di JpMorgan è andato a guidare PNC Financial, la quinta banca commerciale americana per numero di asset, mettendo a segno delle acquisizioni importanti e mostrando un carisma che spesso viene paragonato a quello di Dimon.

Tuttavia, da un’analisi un po’ più approfondita emerge che con Smith fuori dai giochi, Pinto di pochi anni più giovane del 65enne Dimon, Barnum ancora poco quotato e Demchak nello scomodo ruolo di underdog, le due donne hanno più di qualche chance.

Se le giocheranno dividendosi il timone dell’imponente divisione di consumer and community banking, in un dualismo che già promette scintille. Si tratta del segmento più grande del gruppo, capace di generare oltre 50 miliardi di dollari di ricavi all’anno e circa il 40 per cento dei suoi profitti totali. Sotto questo grande ombrello ci sono linee di business che hanno fatto la fortuna della banca come quella delle carte di credito e del wealth management. Le due donne si spartiranno anche questi gioielli di famiglia, visto che la Lake prenderà in carico payments, commerce and lending, dove albergano le carte di credito, l’home lending e l’auto financing, mentre la Piepszak sarà responsabile oltre che del wealth management, anche anche di consumer and business banking.

Le prossime sfide

La decisione di metterle alla stessa scrivania ha lasciato perplesso più di qualche osservatore. Innanzitutto perché misurare il loro impatto sarà più difficile in questa coabitazione ma anche perché il rischio di guerre interne e della creazione di fazioni dentro uno dei motori trainanti della banca è concreto, seppur certamente calcolato da un manager esperto come Dimon.

Le due manager, entrambe 51enni, arrivano alla sfida più importante della loro carriera dopo una vita passata all’interno della banca ed avendo incrociato le loro strade almeno in un’altra occasione quando, due anni fa, Piepszak ha rimpiazzato Lake nel ruolo di direttore finanziario che ricopriva da sette anni. Proprio in quel ruolo, Lake si era fatta apprezzare dagli investitori e dallo stesso Dimon, che dopo quell’esperienza l’aveva incaricata di gestire la complicata macchina del consumer lending, un’esperienza preziosa in vista del ruolo appena assunto nel ramo commerciale. Piepszak ci è invece arrivata come direttore finanziario in carica ma era stata molti anni prima una pedina importante nell’investment banking, l’altra grande anima della banca della Grande Mela. Riuscire a mantenere il giusto equilibrio tra la parte commerciale e quella investment banking è solo una delle tante battaglie che attendono il futuro chief executive. Lo stesso Dimon ha dovuto indossare l’elmetto, e in certi casi anche la divisa da pompiere, durante il suo regno. Oltre alle già citate grandi crisi, quella finanziaria del 2007 e quella sanitaria del 2020, Dimon ha sconfitto un cancro alla gola ed è sopravvissuto ad un intervento a cuore aperto, perché sedere sulla poltrona più ambita di Wall Street evidentemente pesa sul corpo oltre che sullo spirito. E non sono mancati anche i grandi scandali, come quello che portò ad una perdita da oltre 6 miliardi di dollari nel 2012 a seguito di una complessa operazione su derivati che Dimon cercò fino alla fine di minimizzare e che passò alla storia come London Whale, visto che la voragine venne provocata da un desk negli uffici della capitale inglese.

Ma in un mondo sempre più dominato dalla tecnologia, la sfida più ambiziosa del prossimo leader sarà quella di traghettare la banca verso la sua versione 3.0. Anche per questo, dicono i ben informati, il nuovo a.d. dovrà essere di una generazione più giovane di Dimon, come le due manager, e non solo di qualche anno più giovane, come Pinto. Società fintech come PayPal e Square si sono trasformate da startup dinamiche a veri e propri colossi finanziari, che stanno lentamente, ma inesorabilmente, rubando traffico e clientela alle banche tradizionali come JpMorgan.

La banca del futuro non è solo digitale ma è anche capace di offrire servizi come la possibilità di investire nel mercato o avere un crypto wallet in maniera semplice e a costi ragionevoli. Per il prossimo capo di una delle regine di Wall Street intercettare questa opportunità sarà cruciale per poter mantenere la corona, e le due manager hanno le carte in regola, oltre che l’età giusta, per riuscirci.

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