Eccoci di nuovo insieme, Europa!
Siamo alla diciannovesima edizione dello European Focus!
Sono Michał Kokot, il caporedattore di questa settimana, e scrivo da Varsavia.

Mentre preparo questa edizione, il numero delle vittime del recente terremoto è arrivato a 37mila. Per settimane ancora ci chiederemo se una delle maggiori catastrofi umanitarie degli ultimi decenni si sarebbe potuta evitare nel caso in cui, ad esempio, le case in Turchia fossero state costruite in maniera più solida.

Ma la tragedia ha dato il via a un’enorme solidarietà nella comunità mondiale. La Germania ha rimosso l’obbligo del visto per le vittime siriane. I greci si sono precipitati in soccorso dei turchi, sebbene le tensioni quotidiane tra le tue nazioni non manchino.

In questo numero dello European Focus vediamo come l’Europa sta gestendo gli aiuti umanitari e la prevenzione dei disastri naturali. Nonostante le frontiere tra i paesi dell’Ue siano aperte, siamo davvero pronti a lavorare insieme? E non ci capita forse a volte, come nel caso della Germania, di essere in grado di aiutare gli altri con generosità, ma di non saper fare i conti con i nostri problemi?
Buona lettura!

Michał Kokot, caporedattore di questa settimana


La solidarietà tra popolo greco e turco

La vignetta dell’artista greco Soloup rappresenta un soccorritore greco che salva una vittima turca del terremoto. Si chiamano a vicenda “amici” nelle loro rispettive lingue. La didascalia principale recita: “Gli amici arrivano sia di notte che di giorno”. Erdogan una volta ha minacciato la Grecia con le seguenti parole: “Una notte potremmo arrivare all’improvviso”.

ATENE – La tragedia in Turchia ha sconvolto i suoi vicini e il resto del mondo.

Nelle città greche come Atene e Salonicco i volontari hanno raccolto cibo, abiti per adulti e bambini, kit di primo soccorso, antidolorifici e altri medicinali, coperte, sacchi a pelo e contanti da inviare nelle zone colpite. Fino a giovedì scorso la Grecia ha inviato novanta tonnellate di aiuti in Turchia.

Il fatale terremoto del 6 febbraio è costato la vita a più di trentasettemila persone. Mi ha fatto ripensare al terribile terremoto che ha colpito entrambi i paesi nel 1999. In Turchia sono morte 17mila persone in quell’incidente, mentre 143 sono morte ad Atene. Le squadre di salvataggio greche e turche avevano lavorato insieme.

Adesso, come allora, i ministri degli Esteri greci e turchi si sono incontrati e hanno dialogato calorosamente, dando motivo di sperare in un cambiamento nelle relazioni tra i due paesi. Nello stesso spirito, gli utenti di Facebook, Twitter e Instagram stanno postando immagini delle squadre di soccorso greche e turche che uniscono le proprie forze, o di greci che recuperano i sopravvissuti dalle rovine.

I media greci che riportano i dettagli dell’evento titolano, ad esempio, con «Ondata di solidarietà per il popolo della Turchia», «Centri di raccolta degli aiuti umanitari per le vittime del terremoto in Turchia e in Siria», e «I ringraziamenti dei turchi sui social media per l’aiuto della Grecia».

La solidarietà tra i due paesi ha riempito le notizie dell’ultima ora in occidente. La stampa estera parla di una nuova era tra questi due vecchi “nemici”. Spesso dimenticano o ignorano la storia di questi paesi.

Al di là delle guerre, delle differenze, del nazionalismo strumentalizzato per un profitto politico, ci sono i popoli. La storia diplomatica tra la Grecia e la Turchia è complessa e controversa. Per un lettore che cercasse di comprenderne la complessità, essa si sviluppa come una spirale che trascina giù e fa schiantare rovinosamente. Al di là e al di sopra della politica ci sono le persone; ci sono sempre, a prescindere dal fatto che molti se ne dimentichino o meno.

Eleni Stamatoukou è una giornalista greca che scrive per Balkan Insight


Il numero della settimana: 1652

BRUXELLES – L’Ue ha schierato 1.652 soccorritori in Turchia tramite il suo Meccanismo europeo di protezione civile, prima che noi andassimo in stampa. Queste unità fanno parte delle 36 squadre mediche e tecniche che si trovano attualmente nell’area per fornire sostegno di emergenza.

Il numero di personale di soccorso dell’Ue messo in campo per reagire a questo disastro non ha precedenti. A titolo di confronto, un contingente di 250 specialisti è stato inviato di recente in Cile per contrastare i pericolosi incendi che hanno colpito 300mila ettari di foresta e reclamato 24 vite.

Le squadre appena schierate sono solo i primi soccorsi: ulteriore aiuto materiale ed economico verrà fornito all’area colpita dal disastro nelle prossime settimane.

Kata Moravecz è una giornalista investigativa ungherese che si concentra su democrazia e Ue


Se Varsavia avesse avvisato Berlino…

Un pesce morto sulla sponda polacca dell’Oder. Agosto 2022. Cezary Aszkielowicz / Agencja Wyborcza.pl.

VARSAVIA – Cercate dei buoni esempi di cooperazione internazionale tra paesi dell’Ue? Ecco, allora sappiate che la Polonia è il modello negativo: in un caso recente ha dimostrato proprio come non fare.

L’Oder è il secondo fiume più lungo della Polonia e scorre lungo una parte del confine polacco-tedesco. Una parte del suo bacino si trova anche dal lato della Germania. Un fiume condiviso significa problemi e sfide comuni: tutela dell’ambiente, protezione dalle alluvioni, manutenzione dei ponti e sviluppo del turismo.

Tolte le alluvioni maggiori (la più grande in Polonia ha avuto luogo nel 1997), intorno all’Oder non è avvenuto nulla che avesse interesse giornalistico per i media nazionali, fino all’arida estate del 2022. Foto di migliaia di pesci morti che scorrevano lungo il corso dell’Oder sono diventate virali in tutta Europa. Un grande fiume in Polonia era morto.

Alla fine, l’onda velenosa ha raggiunto la Germania. Se la Polonia avesse informato i tedeschi dell’imminente disastro ambientale, essi avrebbero avuto il tempo di prepararsi. Avrebbero arginato i fiumi e i canali che sboccano nell’Oder e avrebbero mobilitato i servizi di pronto intervento.

Peccato che nessuno dalla Polonia si sia premurato di avvisare i vicini: nemmeno una e-mail è stata inviata. Al contrario, sono venute fuori accuse da parte di attivisti nazional-conservatori che sostenevano che erano stati i tedeschi ad aver avvelenato l’Oder, e che ora cercavano di scaricare la colpa sui polacchi. Quelle insinuazioni erano del tutto surreali. Se fossero state vere, ciò avrebbe voluto dire che le sostanze tossiche erano risalite contro corrente, dal momento che i primi pesci morti erano stati osservati a ben duecento chilometri dal confine tedesco, nel profondo entroterra polacco, ovvero più vicino ala sorgente del fiume.

L’avvelenamento dell’Oder potrebbe ripetersi quest’estate. Il fiume è tuttora compromesso, e molto probabilmente il livello dell’acqua precipiterà di nuovo per via delle alte temperature e del cambiamento climatico. La Polonia presto affronterà le elezioni parlamentari, e la narrazione anti-tedesca è importante per il Pis, che il partito nazional-conservatore al potere. Tutto questo fungerà ancora da pretesto perché nessuno a Varsavia avverta Berlino?

Bartosz Wieliński è vicecaporedattore di Gazeta Wyborcza


La doppia crisi siriana

PARIGI –  Di stanza a Gaziantep, in Turchia, Hakim Khaldi è direttore degli studi per la zona del Medioriente per l’ong francese Medici senza frontiere (Msf), che sta rispondendo alle esigenze umanitarie nella Siria del nord dopo il terremoto che ha ucciso oltre 37mila persone nella regione, tra cui 3500 vittime in Siria.

Quali sono le esigenze attuali in Siria?

Dal punto di vista medico, ci sono esigenze a ogni livello. La maggior parte delle persone che vivono nell’area di Idlib sono state evacuate, anche più volte. Quando il terremoto ha colpito, lunedì 6 febbraio, molte persone hanno affollato gli ospedali. Msf ha uno dei pochi ospedali per ustionati nelle zone controllate dall’opposizione. Abbiamo dovuto donare equipaggiamento, veicoli e squadre mediche alle zone colpite.

Gli ospedali di frontiera non hanno la capacità di curare i pazienti siriani, molti dei quali sono feriti gravemente, e molti degli ospedali turchi nelle vicinanze sono stati distrutti o danneggiati.

La situazione attuale ci riporta indietro di cinque anni. Ci sono ancora meno edifici in muratura disponibili, e moltissime persone che vivono in tenda.

La Siria è un paese in guerra e molti stati non riconoscono la legittimità del regime di Bashar al-Assad. In che modo tutto questo complica la consegna degli aiuti umanitari?

Ci sono due complicazioni principali. La prima è che la Siria è un paese in guerra. La seconda è che i paesi occidentali non possono inviare aiuti bilaterali per via delle sanzioni degli Usa. In Turchia, d’altro canto, gli aiuti sono stati inviati da diversi paesi, tra cui la Francia, il Qatar e l’Arabia Saudita. Tuttavia, quei paesi non possono far atterrare un aereo umanitario a Damasco o Aleppo. Dunque dipendono dai paesi confinanti, per consegnare gli aiuti.

A complicare le cose c’è anche il fatto che la regione di Idlib, l’ultima enclave dell’opposizione siriana, si trova al di fuori del controllo del regime?

Il regime non fornisce alcun tipo di aiuti laggiù. Nella Siria del nord la popolazione dipende dal valico di frontiera internazionale di Bab al-Hawa, sul confine turco-siriano. L’assenza di aiuti bilaterali ha gravi conseguenze per Msf: le nostre scorte di emergenza sono esaurite. Dobbiamo fare ordini di emergenza, ma ci vuole tempo, dal momento che anche la Turchia stessa è stata colpita dal terremoto. Dal 2014 una risoluzione dell’Onu ha riaperto il corridoio di Bab al-Hawa ogni sei mesi, e garantire la continuità del servizio sanitario si fa complicato.

Léa Masseguin fa parte della redazione Esteri di Libération


I fondi per aiutare vanno gestiti bene

Soccorritori dell’Agenzia federale soccorso tecnico (Thw) tedesca forniscono aiuto nella provincia turca di Hatay in seguito al devastante terremoto. Foto: Thw/dpa.

BERLINO – L’austerità è finita in Germania! Duecento miliardi di euro per contenere l’inflazione galoppante e i prezzi dell’energia, altri cento miliardi per equipaggiare l’esercito, e... 2,7 miliardi per gli aiuti umanitari nel 2023? Quella che sembra una pioggerellina rispetto ad altre piogge di denaro è, in realtà, il secondo bilancio maggiore del mondo per la crisi globale e il soccorso in caso di calamità, secondo solamente a quello degli Stati Uniti. Ma se mettere i soldi sul tavolo può essere importante, la Germania sembra sorvolare un semplice fatto: la quantità non vuol dire sempre qualità.

Soccorso in massa

Le dotazioni finanziarie della Germania per gli aiuti umanitari fanno sembrare insignificante persino la Commissione europea. Ma quello che serve al paese è una struttura organizzativa che possa spostare quel denaro dove ce n’è bisogno. Invece, gran parte di esso viene infilato nelle tasche di grandi organizzazioni. «L’aiuto deve diventare molto più localizzato», ha criticato Ralf Südhoff, capo del Centro per l’Azione Umanitaria, un think tank di stanza a Berlino. Per ironia della sorte, questa tendenza alla centralizzazione è praticamente invertita all’interno della Germania stessa. Mentre il governo federale ha il compito di proteggere il proprio popolo nei tempi di crisi, ognuno dei sedici stati della Germania ha i propri servizi di soccorso in caso di calamità naturale, il 90 per cento dei quali è gestito da volontari formati. Quello che manca sono i fondi e la coordinazione, sia tra stati che all’interno della gerarchia federale.

Lezioni di storia

Quando nel luglio del 2021 la valle dell’Ahr, nel sud-ovest è stata colpita da un’alluvione devastante, si è arrivati al dunque: più di 130 persone sono morte perché le autorità locali hanno travisato i segnali di pericolo e hanno emesso troppo tardi gli ordini di evacuazione. L’area è a rischio di alluvioni, ma anche la storia è stata trascurata. Delle vite umane potevano essere salvate se lo stato avesse preso seriamente in considerazione la grave minaccia del disastro naturale. Sfortunatamente, i miglioramenti sono stati minimi da allora. Le sirene d’allarme restano senza finanziamenti adeguati, i protocolli comuni sono stati elaborati a stento, e le questioni relative al cambiamento climatico non vengono messe in prima piano. Quando Karl Marx scrisse Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, affermò che i grandi eventi storici tendono a ripetersi: prima come tragedia, poi come farsa. La tragedia in Germania ha già avuto luogo. La farsa è credere che la prossima volta presteremo ascolto al suono delle sirene d’allarme.

Alexander Kloss è un reporter di Tagesspiegel


Qual è la tua impressione su questo tema? Ci piacerebbe riceverla, alla mail collettiva info@europeanfocus.eu se vuoi mandarcela in inglese, oppure a francesca.debenedetti@editorialedomani.it
Al prossimo mercoledì! Francesca De Benedetti


(Versione in inglese e portale comune qui; traduzione in italiano di Marco Valenti)

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