A che punto siamo nel percorso verso la parità di genere? Come sottolineato dalla Commissione europea nella comunicazione sulla strategia per la parità di genere 2020-2025, i progressi sono lenti e i divari persistono, tra l’altro, nel lavoro e a livello di retribuzioni, nelle posizioni dirigenziali e nella partecipazione alla vita politica e istituzionale. Lo stato della situazione femminile, all’8 marzo di quest’anno, può essere delineato su tre direttrici: istruzione, lavoro e novità normative.

L’istruzione

Come risulta dal rapporto dall’associazione interuniversitaria Alma Laurea, nel 2020 le donne hanno costituito quasi il 60 per cento dei laureati in Italia. Sebbene sovente esse provengano da contesti familiari meno favoriti, dimostrano migliori performance rispetto agli uomini: più donne concludono gli studi universitari (60,2 per cento delle donne, 55,7 per cento degli uomini), e con voti migliori, prendono parte a esperienze di tirocinio curriculare, nonché di lavoro durante gli studi e di studio all’estero.  Ma questi sforzi non riescono a sanare le differenze di genere nel mercato del lavoro, ove gli uomini sono più valorizzati.

Il tasso di occupazione dei laureati di secondo livello, a cinque anni dal titolo, è dell'85,2 per cento per le donne e del 91,2 per cento per gli uomini.

A cinque anni dalla laurea gli uomini percepiscono, in media, circa il 20 per cento in più e svolgono professioni maggiormente qualificate. E il divario si amplifica in presenza di figli.

Il lavoro

Gli ultimi dati Istat, relativi al mese di gennaio, indicano un tasso di occupazione femminile (fascia 15-64 anni) pari al 50,3 per cento (contro il 68,1 per cento di quella maschile). Per quanto si tratti di un tasso migliore rispetto a quello di altri periodi, tuttavia esso attesta che una donna su due non ha un lavoro retribuito. La percentuale è inferiore alla media dell’Unione europea, pari a circa il 63 per cento. .

Come risulta da un’indagine del Centro studi di Confcommercio, presentata nel febbraio scorso su dati del 2019, nel Meridione il tasso delle donne al lavoro (fascia 15-64 anni) è di circa il 33 per cento, contro un tasso del 59,2 per cento al Centro-Nord.

La bassa percentuale di occupazione è connessa, tra l’altro, al ruolo che esse ricoprono da sempre all’interno della famiglia. Secondo gli ultimi dati Istat, il 67 per cento del lavoro di cura domestica e familiare viene ancora sostenuto dalle donne. E la pandemia da Covid-19 ha aggravato il fenomeno.

Figli e lavoro continuano a essere inconciliabili per molte madri. Come si legge nel Bilancio di genere 2021, a cura del Dipartimento della ragioneria generale dello Stato, il tasso di occupazione delle donne (fascia 25-49 anni) con figli in età prescolare è al 53,3 per cento, mentre quello delle donne senza figli al 72,7 per cento. La mancanza di infrastrutture per l’infanzia è una delle cause.

A questo riguardo, il “piano asili nido” del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) prevede l’investimento di 4,6 miliardi e la realizzazione di 264.480 nuovi posti per i servizi di educazione e cura per la prima infanzia (0-6 anni).

Tuttavia, come rilevato dall’Osservatorio sui Conti pubblici, non c’è specifica ripartizione tra asili nido (0-3 anni) e scuole dell'infanzia (3-6 anni), nonostante la copertura di queste ultime sia molto più alta.

Inoltre, il traguardo (“milestone”) più immediato, per il secondo trimestre del 2023, riguarda solo l'aggiudicazione degli appalti per tali strutture; mentre l’obiettivo dell’effettiva creazione dei posti indicati è prevista per il quarto trimestre del 2025. È vero che il “piano asili nido” consentirà forse di superare entro il 2026 l’obiettivo del Consiglio europeo del 2002 – copertura del 33 per cento, mentre oggi è del 26,9 per cento - ma Spagna e Francia nel 2019 hanno già raggiunto la copertura del 50 per cento.

Infine, bisognerà verificare se e come ciò potrà ridurre le disuguaglianze regionali nell'offerta dei posti. Basti pensare che, secondo Openpolis, la copertura di asili nido in Valle d’Aosta è pari al 43,9 per cento, mentre in Campania è del 10,4 per cento. E ciò incide sull’occupazione femminile (67,2 per cento in Val d’Aosta, 40,9 per cento in Campania), che è correlata positivamente alla presenza di strutture per l’infanzia, come molti studi dimostrano da tempo.

Le novità normative

Dal 2021 il Servizio Studi della Camera predispone, per l’istruttoria di alcune proposte di legge di iniziativa parlamentare, un paragrafo dedicato all’analisi di impatto di genere. E il governo si è impegnato a svolgere tale analisi sugli atti di propria iniziativa normativa, ma non ha ancora realizzato tale impegno.

Nel 2021 (l. n. 162), al fine di incidere sulla partecipazione femminile al mercato del lavoro e ridurre le differenze sul piano retributivo e di crescita professionale, è stato modificato il Codice delle pari opportunità (D.lgs. 198/2006).

Le aziende pubbliche e private con più di 50 dipendenti - e non più oltre 100, come finora - sono tenute a redigere un rapporto biennale sulla situazione del personale suddiviso per sesso, con le differenze tra retribuzioni iniziali, inquadramento contrattuale ecc., indicando anche le azioni attuate per assicurare la parità.

Inoltre, è stata prevista la “certificazione della parità di genere”, con lo scopo di attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale, alla parità di mansioni ed alla tutela della maternità. L’ottenimento della certificazione consente sgravi contributivi.

Nel Codice è anche stata inserita una nozione di discriminazione, individuata tra l’altro nella modifica delle condizioni e dei tempi di lavoro che pone o può porre lavoratori e candidati al lavoro in condizione di svantaggio - limitazione nella partecipazione alla vita aziendale, nelle progressioni di carriera ecc. - rispetto ad altri lavoratori, in ragione di sesso, età, esigenze di cura personale o familiare, gravidanza, maternità o paternità.

Un’altra delle novità normative del 2021, finalizzata all’aumento dell’occupazione femminile, oltre che giovanile, è la “clausola di condizionalità”. Si tratta del vincolo per gli operatori economici, aggiudicatari di bandi per i relativi fondi, di destinare ai giovani under 36 e alle donne almeno il 30 per cento dell’occupazione aggiuntiva creata in esecuzione del contratto, mediante una clausola da inserire all’interno dei bandi di gara.

Tuttavia, le linee guida attuative della disposizione prevedono ipotesi di deroga totale o di abbassamento della quota percentuale – alcune delle quali generiche e prive di controlli - che potrebbero inficiare i risultati prefissati.

Dunque, occorrerà verificare come queste misure saranno implementate, nonché i loro impatti concreti, affinché non restino meri adempimenti formali o dichiarazioni di principio, come spesso accade per le politiche nazionali.

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