Il 28 luglio scorso la Camera ha approvato il disegno di legge che introduce in Costituzione il principio di insularità, cioè il riconoscimento delle peculiarità delle isole e la necessità del superamento degli svantaggi derivanti dalla loro condizione territoriale. Occorre spiegarne il significato e valutare, più in generale, l’azione del parlamento sul piano costituzionale.

All’articolo 119 della Costituzione è stata aggiunta la seguente disposizione: «La Repubblica riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità».

Il testo è più sfumato rispetto quello della proposta di legge originaria, di iniziativa popolare, che prevedeva il riconoscimento del «grave e permanente svantaggio naturale derivante dall’insularità» e l’adozione di «misure necessarie a garantire un’effettiva parità e un reale godimento dei diritti individuali e inalienabili».

La nuova disposizione non è ancora in vigore. Infatti, non essendo stata approvata con la maggioranza di due terzi nella seconda deliberazione, da ciascuna delle camere, può essere sottoposta a referendum confermativo qualora, entro tre mesi dall’approvazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali (articolo 138 della Costituzione).

L’insularità determina ritardi nello sviluppo sociale ed economico. Si pensi, ad esempio – come spiega il servizio studi del Senato nel dossier sugli svantaggi naturali derivanti da tale condizione – al problema dei trasporti, e quindi della circolazione di persone e merci, che incide negativamente sui prezzi dei servizi; o alla minore diversificazione delle attività economiche e alla specializzazione in settori economici caratterizzati da stagionalità (turismo).

La perifericità, inoltre, riduce le opportunità di chi sta sulle isole rispetto a quelle di chi vive sulla terraferma, e ciò causa lo spopolamento di tali aree. Perciò si è inserito in Costituzione il principio per cui è necessario che il legislatore ordinario si adoperi per attenuare gli svantaggi. Alcuni interventi sono già stati effettuati in passato, ma limitatamente a specifiche realtà (Sicilia e Sardegna) e a temi quali quello della continuità territoriale.

La risoluzione Ue

Il rilievo del tema dell’insularità trova corrispondenza in sede di Unione europea (Ue). Lo scorso 7 giugno, il parlamento europeo ha approvato in plenaria una risoluzione che chiede alla Commissione Ue di riconoscere l’insularità come uno svantaggio strutturale e di sviluppare «una strategia specifica, un piano d’azione europeo e un’agenda politica insulare con priorità d’azione chiaramente definite» per le 2.400 isole europee (il 4,6 per cento – 20 milioni – degli abitanti dell’Unione).

Ciò anche in quanto il Trattato sul funzionamento dell’Ue (articolo 174) stabilisce che l’Unione presti particolare attenzione alle regioni insulari, tra le altre.

Nella risoluzione, tra i profili pregiudizievoli relativi alle isole, si enumerano le «dimensioni ridotte, in gran parte bassa densità di popolazione, (…) una pressione demografica stagionale, volume ristretto dei mercati (…), dipendenza dal trasporto marittimo e aereo o da un numero esiguo di produzioni».

Inoltre, la condizione di insularità crea problemi, in particolare, «per il mercato del lavoro, i collegamenti di trasporto e la mobilità sostenibili, l’importazione di materie prime e di prodotti di consumo, l’accesso dei prodotti insulari ai mercati esterni limitrofi, (…) l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari, l’approvvigionamento energetico e gli impianti di gestione dei rifiuti». Le isole sono pure «in prima linea nel cambiamento climatico», subendone gli effetti negativi.

Lo svantaggio dovuto all’insularità, secondo la risoluzione degli europarlamentari, dovrebbe indurre la Commissione, tra l’altro, a riesaminare il quadro degli aiuti di stato, che andrebbero resi più flessibili specie per le imprese del trasporto aereo e marittimo; a fornire sostegni finanziari addizionali alle isole, per ridurre il divario di sviluppo; a creare un patto per la politica comune dell'Ue sulla questione insulare; a designare il 2024 come anno europeo delle isole.

La riforma a camere sciolte

Foto AGF

Il fatto che la modifica costituzionale in esame sia stata adottata a camere ormai sciolte non sembra presentare profili di criticità. Anche in regime di prorogatio, infatti, il parlamento conserva i suoi poteri, salvo alcune limitazioni: ad esempio, non può assumere nuove iniziative legislative e sono congelati i suoi poteri che dipendono dal rapporto di fiducia con il governo. La legge in questione era in discussione da tempo e prescinde dal rapporto fiduciario, restando pertanto interamente rimessa al parlamento.

Quella sull’insularità è l’ultima di una serie di riforme costituzionali realizzate in questa legislatura. L’8 febbraio scorso, la tutela dell’ambiente è stata inserita tra i principi fondamentali della Carta. Nell’ottobre 2020, è stato ridotto il numero dei parlamentari, e la legge è stata confermata nel referendum popolare del settembre 2020.

Nel novembre 2021, è stata abbassata da 25 a 18 anni l’età per eleggere i componenti del Senato. Inoltre, durante la legislatura sono stati esaminati altri progetti di modifica della Costituzione. A fronte della perdita di centralità del parlamento nell’esercizio della funzione legislativa ordinaria, c’è stato un suo iperattivismo sul piano costituzionale.

È vero che durante l’emergenza Covid il governo ha svolto un ruolo dominante, attraverso l’emanazione di un ingente numero di decreti legge; che l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), con l’impegno verso l’Ue all’adozione di politiche e misure legislative entro scadenze prefissate, compete al governo; che governare con strumenti emergenziali è divenuta modalità quasi ordinaria, per avere certezza dei tempi di approvazione.

Ma, al di là di tutto questo, va comunque detto che il parlamento non ha mostrato capacità di intervento su temi diversi, finendo per arenarsi su quelli che sarebbero stati i suoi propri, i più “divisivi”, riguardo ai quali comporre le diverse visioni politiche. Basti pensare alla colpevole stasi sul tema dei diritti civili.

Con le modifiche alla Carta fondamentale, l’organo legislativo si è quindi ritagliato un’area di azione che, da un lato, prescinde dalle urgenze del momento, ponendosi su un livello più elevato; dall’altro lato, attiene a temi (come l’ambiente, il voto ai più giovani o l’attenuazione degli svantaggi derivanti dall’insularità) che consentono un’intesa trasversale ai diversi partiti, non intaccando i rispettivi programmi politici.

Insomma, attraverso le modifiche costituzionali, il parlamento sembra voler dimostrare di contare ancora qualcosa, mentre esprime in misura sempre minore le istanze degli elettori sui temi ordinari, suo compito essenziale. E, dopo il taglio dei parlamentari, il rischio è che la sua distanza dai cittadini aumenti ulteriormente.

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