È scomparso martedì 9 gennaio, dopo una lunga malattia affrontata con rara dignità, Elio Carmi, infaticabile animatore delle iniziative culturali della Comunità Ebraica di Casale Monferrato. Non è una storia privata. Carmi, che io stesso ho avuto occasione di conoscere nell’ultimo anno per alcune presentazioni di libri organizzate proprio a Casale, ha contribuito in modo decisivo alla rinascita, almeno culturale, dell’ebraismo di una delle comunità più rappresentative della storia ebraica italiana.

Fondata cinquecento anni fa e punto di riferimento per molte generazioni di ebree ed ebrei italiane/i. Oltre ad un cospicuo calendario di incontri, la rinascita della Casale ebraica è passata, e tutt’ora passa, per la rivalutazione della storica sinagoga, fra le più belle dell’intero Paese, del Museo di storia e arte antica ebraica, del Museo dei Lumi (dedicato alle channukkiot, i candelabri a nove bracci che rappresentano la resistenza ebraica contro i tentativi di assimilazione e distruzione) e dell’archivio, depositario di secoli di vicende ebraiche italiane.

Con la creazione della Fondazione, la Casale ebraica si è dotata di uno strumento, anche formale, per preservare un patrimonio dell’intera storia nazionale. Un modo per ricordare, in un momento in cui da Israele giungono sinistri segnali di omologazione dell’ebraismo mondiale a non si sa bene quali criteri, quanto fruttuose siano state le intersezioni con altre storie e identità, a maggior ragione in Italia, che ospita alcune delle comunità più antiche della diaspora, a cominciare da quella romana.

Ma poi Livorno, Vercelli, Mantova e, appunto, Casale. Un’intersezione da cui sono sorti un proprio minhag (rito), un proprio linguaggio, persino una propria cucina. L’opera di Elio Carmi è stata, un’opera di ricostruzione culturale, che tante volte, nel passare dei secoli, si è rivelata essenziale per la sopravvivenza di una coscienza ebraica. Un’opera, tra l’altro, svolta con grande garbo e rispetto per un ebraismo che doveva ricostituirsi e che mai avrebbe sopportato l’immersione in sterili dispute normative o dibattiti tutti rivolti verso l’interno.

Mi hanno colpito, nelle volte in cui sono stato invitato a Casale, le sue cautele nei confronti del pubblico, tra l’altro sempre numeroso e partecipe, quasi con piglio pedagogico, come, credo, si confaccia a queste occasioni. Toccherà ora alla figlia Daria, recentemente diventata mamma, raccogliere questa eredità, così come ha fatto in questi ultimi anni. Fortunatamente, ad ulteriore testimonianza della bontà del lavoro svolto, lo sforzo del papà è stato premiato dall’iscrizione alla Comunità di Casale di importanti figure dell’intellettualità ebraica italiana, a cominciare da Gad Lerner, così vicino a quei luoghi.

Ma la storia di Elio Carmi non è privata per un altro motivo. Se l’è portato via quel mesotelioma pleurico noto come «la malattia di Casale». Uno dei grandi scandali della storia italiana: un’intera comunità decimata dalle polveri di amianto disperse per decenni dallo stabilimento dell’Eternit, insediatosi nel lontano 1907. La morte di Carmi si somma alle quasi duemila già registrate per la stessa causa. Dopo decenni di processi, nel giugno scorso la Corte d’Assise di Novara ha condannato a dodici anni di carcere e ad un’ammenda di decine di milioni di Euro da destinare allo Stato, al Comune e alle famiglie delle vittime l’industriale svizzero Stephan Schmidheiny, ritenuto responsabile della morte di 392 persone decedute a causa dell'amianto a Casale Monferrato e nelle zone adiacenti. Un tardivo atto di giustizia nei confronti di una città in cui, ancora oggi, viene diagnostico un tumore dello stesso tipo ogni settimana. Ma la religione ebraica, se di religione si può parlare, è una cultura della vita. Del Dio vivente, come ci insegnano le Scritture. A noi, quindi, piace ricordare Elio Carmi più per come è vissuto e per quello che ha lasciato, che per come è morto.

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