Dalla Leopolda a Riad fino a Dubai. Rapporti con le élite finanziaria saudita e emiratina che però nascono in Toscana, nella roccaforte del potere di Matteo Renzi. Sullo sfondo di questa trama politico finanziaria, infatti, troviamo la fondazione renziana Open, la cassaforte sotto accusa per finanziamento illecito diventata il bacino di raccolta delle donazioni private a scapito del Partito democratico quando Renzi era segretario e poi premier.

Tra i finanziamenti ricevuti troviamo anche 75mila euro versati, tra il 2014 e il 2016, dalla Corporacion America Italia, che l’anno successivo all’ultima donazione ha acquisito la maggioranza di Toscana Aeroporti presieduta da Marco Carrai, migliore amico del senatore di Rignano. Ecco il primo di una serie di conflitti di interesse.

Una volta scalata la proprietà di Toscana Aeroporti nell’assetto di Corporacion America è entrato il governo degli Emirati Arabi: tramite una holding olandese riconducibile a un fondo governativo di Dubai. Renzi ha dimostrato di essere in buoni rapporti con il governo degli Emirati presenziando ad alcuni eventi organizzati a Dubai sponsorizzati delle autorità locali.

Da Riad a Dubai

Domani ha rivelato, nei giorni scorsi, il viaggio di Renzi a Riad durante la crisi di governo per partecipare alla “Davos del deserto” in qualità di membro del board del Future Investment Istitute controllato dal fondo sovrano saudita.

L’incarico può fruttare al senatore di Italia viva un compenso fino a 80mila euro l’anno. All’inopportunità per un senatore della Repubblica in carica, ancora in grado di far cadere governi, di ricevere denaro da una potenza straniera, tra l’altro accusata di violazioni dei diritti umani, si è aggiunto l’elogio del regime con il colloquio moderato dal leader di Italia viva al principe reggente del regime Mohammed bin Salman, la cui reputazione è crollata con l’omicidio dell’editorialista del Washington Post Jamal Khashoggi, ucciso e smembrato nell’ottobre 2018 nel consolato saudita di Istanbul.

L’ultimo viaggio a Riad è costato caro a Renzi in termini di credibilità, seppure negli ultimi anni non sia stato l’unica tournée di Renzi tra sceicchi e principi. A marzo 2019, per esempio, si trovava a Dubai per partecipare al Global education e skill forum, la “Davos dell’educazione”, organizzata dalla fondazione Varkey, fondata dal miliardario filantropo di origini indiane Sunny Varkey cresciuto tra i grattacieli di Dubai. Varkey è a capo di Gems education, «il più importante fornitore di istruzione privata al mondo», è scritto sul sito dell’organizzazione, strettamente connessa all’uomo forte del regime di Abu Dhabi: Mohammed bin Rashid al Maktum, primo ministro e vicepresidente.

Il forum al quale ha partecipato Renzi da conferenziere ha infatti tra i promotori anche il ministro dell’Istruzione degli Emirati Arabi Uniti. Alle alte sfere del governo emiratino appartiene anche Mohammed Ibrahim al Shaibani, direttore della Investment Corporation of Dubai, il principale strumento di investimento del governatorato con asset totali del valore di 166 miliardi di dollari.

Al Shaibani è anche nel board di Dubai Aerospace Enterprise, creato dal fondatore della compagnia Emirates, Sheikh Ahmed bin Saeed al Maktoum. Dubai Aerospace è considerata la più grande società al mondo di leasing aeronautico.

L’Emiro e il Toscano

La figura di al Shaibani è il nome che ci riporta nella roccaforte del potere renziano. Nella sede della fu fondazione Open sospettata dalla procura di Firenze di aver lavorato come fosse un’articolazione del Partito democratico (fazione renziana) usata per incamerare donazioni private. All’apice del suo splendore, Open, ha ricevuto anche due donazioni, per un totale di 75mila euro, dalla Corporacion America. Quest’ultima è partecipata dal 2018 da una holding riconducibile all’Investment corporation del governo degli Emirati Arabi Uniti e nel quale ritroviamo al Shaibani. Finanziamenti dietro i quali si celano possibili conflitti di interessi per Renzi, vista la sua intraprendenza nel dialogare con i regimi arabi e sauditi, e per gli uomini a lui più vicini come Carrai. Il denaro versato alla fondazione Open è arrivato dalla Corporacion America Italia, che dal 2017 detiene la maggioranza di Toscana Aeroporti. Il 75 per cento di Corporacion America è in mano alla holding spagnola del miliardario argentino Eduardo Eurnekian, il rimanente 25 per cento è di proprietà di Mataar holdings 2 con sede ad Amsterdam. Ma chi controlla Mataar è Investment Corporation of Dubai, fondo sovrano dell’Emirato di Dubai, che così è entrato nella gestione degli scali di Firenze e Pisa. La scalata di Corporacion America agli aeroporti toscani è avvenuta successivamente alle donazioni alla fondazione Open. Un dato rilevante, perché il presidente di Toscana Aeroporti era all’epoca, e lo è ancora, Marco Carrai, allo stesso tempo nel direttivo della fondazione renziana beneficiaria dei 75mila euro offerti da Corporacion America. Abbiamo contattato Carrai, ma non ha risposto alla nostre richieste di commento. L’amico personale di Renzi era anche nel direttivo di Open insieme agli altri petali del giglio magico renziano: Luca Lotti, Maria Elena Boschi e Alberto Bianchi. Tutti indagati nell’inchiesta della procura di Firenze su 7,2 milioni di finanziamenti registrati dalla fondazione ma ritenuti illeciti dai magistrati e dalla guardia di finanza. Tra i soldi incassati ci sono anche quelli versati da Corporacion America. Con l’entrata di al Shaibani nel consiglio di amministrazione di Corporacion America (proprietaria della maggioranza di Toscana Aeroporti), Carrai compie un ulteriore passo verso Dubai: da settembre 2018 è consigliere della filiale italiana di Iss Global Forwarding, colosso della logistica aeroportuale con sede nella zona franca dello scalo emiratino. A lanciare Iss Global sul mercato è stato il solito fondo governativo Investment corporation: lo stesso che ritroviamo dietro Toscana Aeroporti, diretto da al Shaibani, l’uomo del regime accolto nel regno del giglio magico.

© Riproduzione riservata